Intervista a Federica Mazzoni, di Sabia Braccia
Prima Segretaria della Federazione provinciale del PD di Bologna, Presidente del Quartiere Navile, il più grande della città, madre di 3 figli, impegnata a portare nel discorso pubblico di Bologna temi quali la “buona occupazione”, la rigenerazione urbana, le nuove cittadinanze e la parità di genere. A questo proposito hai preso parte alla realizzazione della Legge Quadro per la Parità e contro le discriminazioni di genere in Emilia-Romagna. Su quali punti del problema si deve ancora insistere, quali sono i nodi da sciogliere ancora e come vanno portati nel discorso pubblico nel 2024, a dieci anni dalla realizzazione di questa legge?
Ti ringrazio per essere partita da qui, perché quando lavoravo in Regione avevo un ruolo di supporto politico alla Presidente della Commissione parità della Regione, Roberta Mori, attualmente consigliere regionale e noi li siamo partite con un’idea politica molto grande, di fare per la prima volta in una regione quello che poi siamo riusciti a fare, ossia una Legge Quadro per la Parità e contro le discriminazioni di genere che fosse trasversale – cioè che abbracciasse tutte le politiche pubbliche della nostra Regione e della società. Quello è stato un momento formativo molto importante e anche di grande investimento politico perché in parallelo avevo questo ruolo professionale e nello stesso periodo sono stata anche eletta Coordinatrice della Conferenza delle donne del PD di Bologna. Questo mi ha dato l’opportunità non solo di poter incrociare molti mondi dell’associazionismo femminista e femminile della nostra Regione e della nostra città ma anche di addentrarmi in quella che la sfida più grande della politica, cioè quella di portare avanti un’elaborazione teorica di pensiero che poi possa essere calata in strumenti e in azioni che trovino una ricaduta amministrativa e quindi di completezza, dal prevedere risorse, prevedere percorsi, programmi, e incentivi in tutti gli ambiti.
Per arrivare alla risposta alla tua domanda il tema di genere, la prospettiva femminista e di genere a mio avviso è proprio un modo di leggere e di vivere la politica, non è semplicemente occuparsi di un tema, ma è quella lente che io credo sia propria della sinistra e che debba essere integrata. Io credo che oggi come Partito Democratico e della costruzione il PD deve costruire una nuova sinistra e penso che la visione che ci viene da un pensiero femminista e non genericamente “delle donne” debba essere un ingrediente fondamentale perché abbracciare una politica femminista, a mio avviso, va poi anche a costruire una politica più attenta ai bisogni delle persone, a partire dalle donne, ma per tutte le persone – perché il vero obiettivo è quello di abbassare quanto possibile tutte le disuguaglianze e contrastarle avendo in mente la differenza tra le persone. Ed è per questo che quando noi semplicemente parliamo di parità non dobbiamo mai dimenticarci che una parità che taglia in maniera netta una torta, appunto semplicemente a metà, non risponde a quel bisogno di andare a contrastare delle disuguaglianze che in partenza ci sono nella società e fra le persone. Credo che il femminismo ci abbia dato degli strumenti sia teorici che pratici per fare questo. Non è ancora pienamente integrato nelle varie politiche, sia nei partiti che a livello istituzionale, però credo che le cose si stiano evolvendo. Io me ne accorgo perché ormai faccio politica da diversi anni, mi sono iscritta al PD nel 2011, ho iniziato servendo ai tavoli della Festa dell’Unità del mio circolo e quando dicevamo queste cose un po’ di anni fa erano davvero cose dette solo dalle donne e non erano nell’agenda politica mentre ora non è più così. Se mi hai chiesto qual è l’urgenza più urgente di tutte credo sia investire nell’educazione che permette alle bambine di avere più modelli, più esempi, di non auto-limitarsi e di dar loro gli strumenti per riconoscere anche quel patriarcato che tutti abbiamo introiettato, perché siamo tutti in questo acquario: per poterlo riconoscere e per poterlo combattere si parte appunto dalla scuola, dall’educazione.
Restando ancora sulle discriminazioni e le disparità di genere, ritieni che nel contesto del tuo lavoro, quindi in quello dell’impegno politico e civile, il gap fra la percentuale di donne e di uomini che ricoprono ruoli più influenti rispecchi quello di altre realtà, come quelle aziendali, amministrative, manageriali, istituzionali, ecc, oppure pensi che sia più marcato?
Ovviamente la differenza c’è e c’è anche un tema di questo tipo nel mondo politico ma ancora una volta è tutto uno specchio della società. Per cambiare il sistema bisogna mettere dei meccanismi tali per cui si fanno rispettare delle nuove regole che devono entrare poi nella consuetudine e nella prassi, perché non basta mettere semplicemente una legge ma ogni tanto bisogna forzare un po’. Ci sono anche dati e le statistiche che ci dicono che sennò le cose o non avvengono o avvengono ad una lentezza che è davvero insopportabile o che non è più concepibile per la nostra società, per quanto la qualità della democrazia si debba esprimere chiamando in causa tutti e tutte. Io credo che ci sia davvero un tema di quantità che non va a risolvere la questione perché, adesso la dico male, mettere più donne non mi va a risolvere un problema del cosa e come queste donne assolvono al proprio ruolo, però ci sono altre due cose da dire. Innanzitutto questi ragionamenti non sono mai stati fatti con gli uomini, quindi qua già un pochino e poi semplicemente questa è un’onda d’urto che noi dobbiamo fare avanzare per poi arrivare a fare quel passaggio successivo di qualità. Qualità di azione e di scelta, rispetto appunto anche a una visione politica ed è per questo che torno molto su una formazione femminista che aiuta per replicare ai modelli maschili, patriarcali che sono assolutamente figli e correlati anche con un altro dei maggiori problemi della nostra società ovvero un neoliberismo che ha fatto sì che la società fosse sempre di più disgregata e frammentata, che le persone fossero molto isolate con una perdita di senso della collettività e del destino comune. È quello che la politica deve fare, deve dare la possibilità di far realizzare alle persone i propri progetti sicuramente, di autodeterminazione, di aspirazione individuale, quindi far sì che tutti possano dare il meglio, ma all’interno di una cornice collettiva perché il capitalismo neoliberista ha ovviamente disgregato tutto questo perché è figlio di una concezione predatoria anche dell’economia, della società che ha oggettivizzato e mercificato cose, valori, persone. Il patriarcato si tiene esattamente in questo tipo di politica ed è per questo che anche una critica economica è assolutamente in linea con un pensiero femminista. Un’altra cosa che mi sta molto a cuore rispetto a una transizione ecologica, climatica è che debba essere ovviamente sostenibile anche da un punto di vista sociale perché questi cambiamenti ovviamente non hanno un costo zero, non possono essere scaricati sulle fasce di popolazione più fragili e questo molto spesso è anche la retorica che la politica, soprattutto la destra, utilizza per dire “non è possibile” o viceversa per far aumentare la rabbia sociale e far pensare che il problema della crisi climatica, della crisi energetica sia un qualcosa di lontano perché non appena ci tocca da vicino è un qualcosa che semplicemente ci danneggia nella vita quotidiana. Io credo che questa sia un’altra delle grandi sfide della sinistra: proprio far rendere desiderabile, come diceva Alex Langer, il cambiamento. Ora noi siamo ben più in là purtroppo, perché non è più qualcosa di lontano ma un’emergenza, un’urgenza molto importante che come vediamo ha degli impatti anche devastanti rispetto a fenomeni climatici che non siamo in grado di gestire e di prevenire. È proprio anche una concezione di vita differente che la politica deve essere in grado di proporre.
Dopo la vittoria di Elly Schlein alle Primarie del PD del 27 febbraio è risuonata in molte occasioni una citazione da lei pronunciata, quella del «non ci hanno visto arrivare». Anche il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha citato la frase riconoscendo un punto di forza nella debolezza: «la notizia, oggi, è che essere sottovalutate è un vantaggio. Non ci vedono arrivare». Giorgia Meloni ed Elly Schlein rappresentano in effetti delle prime volte per il nostro Paese, la prima premier e la prima Segretaria nazionale del PD, così come tu sei la prima segretaria della Federazione provinciale di Bologna. A fronte di queste vittorie potremmo dire che esiste nella politica italiana uno stile di leadership femminile oppure no?
Leadership femminile non mi convince tanto in sé perché penso che ciò che fa una guida politica è davvero la politica. Mi spiego meglio: esser semplicemente donna sicuramente è un fattore di novità specialmente per il nostro Paese, non irrilevante, perché è simbolico e il simbolico è fortemente politico ed è anche quello che dicevo prima, è un fatto plastico che può succedere ed è successo e che quindi non è impossibile. Detto questo è sicuramente una novità di rilievo ma che poi di per sé una donna abbia una guida differente da quella di un uomo non lo credo ed è quello che la presidente del consiglio– perché io la chiamo così – Giorgia Meloni ci sta dimostrando, perché lei ha assolutamente una modalità che neppure mette in discussione sul piano della gestione politica e istituzionale o rispetto a idee di Paese che lei ha. Questo è più velato dal fatto che lei è una donna e quindi se vogliamo è un’arma a doppio taglio perché con più libertà lei porta avanti nella stessa maniera sostanziale politiche e politica dei suoi predecessori uomini. Invece quello che Schlein, la nostra Segretaria, sta facendo è di dire “io sì sono la prima donna segretaria ma voglio improntare un cambiamento anche di conduzione politica rispetto anche all’agenda dei temi e delle priorità”. Una cosa che a me dà sempre molta soddisfazione è vedere come ad esempio i temi di genere lei sia capace di portarli e li porti grazie al suo ruolo dentro una concezione politica ampia, vasta e integrata, non è più la nicchia dell’intervento contro la violenza sulle donne. Elly Schlein, la nostra Segretaria, in Parlamento pochi giorni fa con la misura in discussione della manovra del governo ha fatto un’operazione politica di rilievo: ha unito tutte le opposizioni dicendo che le risorse che erano a disposizione del Parlamento delle opposizioni dovevano essere tutte messe per contrastare e prevenire la violenza di genere. Già solo l’aver unito tutte le opposizioni è un fatto già di per sé rilevante e importante, e le ha portate su un tema che non riguarda le donne ma riguarda un fenomeno strutturale grave della nostra società, cioè i femminicidi e la violenza contro le donne. Ha proposto, poi bocciato dalla maggioranza, un congedo paritario retribuito al 100% per madri e padri, di 5 mesi, non scambiabile proprio per abbattere anche quelle disuguaglianze di accesso al mondo del lavoro di uomini e donne. Questo in barba a tutte le parole sulla natalità e a quanto tutte noi dobbiamo essere fortemente ispirate ad avere figli, e lo dico io che tre figli li ho, e non penso assolutamente che l’aspirazione di ciascuna donna debba essere quella di fare figli. Io penso che ciascuna di noi debba essere messa nelle condizioni di poter scegliere liberamente e le politiche, e quindi l’accesso al mondo del lavoro e a una riorganizzazione del sistema sociale e della responsabilità della cura, sono qualcosa che la politica può cambiare e gestire attraverso, per esempio, i congedi paritari per madri e padri, proprio perché di fronte al datore di lavoro “Luca” può diventare papà esattamente come “Anna” può diventare mamma. Io credo che di questo lei abbia fatto ancora una volta un tema politico di rilievo per tutto il partito; è una conduzione politica differente perché sta mettendo avanti dei temi e li sta rendendo cruciali, quali sono, per la società.
Ho visto recentemente un talk nel quale ad Elly Schlein che era ospite si presentava la prima pagina di «Libero» che aveva eletto Giorgia Meloni «uomo dell’anno». Schlein aveva risposto che la sua massima aspirazione non era ovviamente né avere figli come qualcuno di Fratelli d’Italia aveva auspicato pochi giorni prima né essere eletta “uomo” dell’anno. A proposito di «uomo dell’anno», quanto conta i questa riflessione il linguaggio che viene utilizzato?
Conta molto perché quello che pensiamo e come lo diciamo crea le cose e non è semplicemente una velleità stilistica il declinare secondo il genere delle professioni, dei ruoli, ma è pensare che esistono ruoli che sono incarnati da uomini o da donne. Il trucco si svela in maniera molto facile perché nessuno si scandalizza mai a sentir parlare di “cameriere”, “cuoche”, “infermiere” tutte cose “molto consuete” ma ovviamente il grande dibattito subentra nella misura in cui si entra in sfere che sono state per secoli di maggior prestigio e a completa disposizione di uomini e quindi “suona male”. La lingua è una lingua viva nel senso che è a disposizione delle persone che la fanno e che la vivono, proprio per andare a indicare quei cambiamenti della realtà. Non è una battaglia sterile ed è quello che dicevo prima, per far cambiare la società non c’è una cosa che si debba fare e che ci faccia dire “ok, ho risolto” ma sono tanti pezzi che insieme devono andare avanti. Anche quella del linguaggio è una battaglia assolutamente giusta, corretta e da portare avanti.
Fin dalla tua tesi di laurea è emerso quello che poi sarebbe stato il filo conduttore della tua carriera: l’amore e l’impegno per la tua città. Hai dichiarato che fra le tematiche a te care c’è la rigenerazione urbana. Com’è la Bologna che vorresti?
È la Bologna che stiamo costruendo con il sindaco Matteo Lepore, è la Bologna che ci candidiamo a voler amministrare, a voler cambiare nei prossimi 10 anni. L’abbiamo definita “più progressista d’Italia” proprio con un obiettivo a cui arrivare ed abbiamo voluto mettere questo termine che è politico proprio perché pensiamo che la buona amministrazione da sola senza la politica – che è un pensiero chiaro che andiamo a esplicitare – non basti più, bisogna dire da che parte si sta, facendo anche delle scelte che non sempre sono da tappeto rosso. Chi amministra e chi fa politica oggi grandi applausi e tanti tappeti rossi non ne riceve; è il nostro servizio, è il lavoro che si deve fare ma lo si deve fare anche assumendosi il rischio di decisioni che possono essere apparentemente o anche immediatamente impopolari, ma con un obiettivo. Ad esempio, quando tu parli di rigenerazione è tutto molto collegato all’obiettivo della Bologna carbon neutral con l’abbattimento delle emissioni, porta l’idea che anche la transizione ecologica possa essere concretamente favorita anche dalle azioni delle città – che ovviamente non basta in un contesto globale – ma è importante che la spinta arrivi anche dalle città. Lo stiamo facendo anche qui con diverse leve, stiamo per approvare una variante al PUG che è il Piano di Urbanistica Generale volto proprio a dire che il consumo di suolo e quindi anche le nuove costruzioni devono essere minime; noi vogliamo che si rigenerino molti spazi, edifici, patrimoni con tutta una difficoltà perché molto spesso le proprietà non sono in mano al comune, non sono nostre, quindi non è che semplicemente decidiamo di fare qualcosa ma si stanno realizzando delle condizioni e delle regole per fare in modo che anche i privati e gli altri proprietari immobiliari possano vederci una utilità per un fine pubblico e di ricaduta sociale. Da qui ad esempio anche tutto il tema degli alloggi popolari e degli studentati che a Bologna è un tema enorme; tutto si racchiude nel tema della casa perché quando parliamo di sostenibilità e di una transizione ecologica volta alla sostenibilità ambientale non possiamo parlare di sostenibilità ecologica senza parlare di sostenibilità sociale, cioè di dare i diritti primari alle persone – e la casa lo è.
Stiamo cercando di riorganizzare lo spazio pubblico della nostra città e questo è un qualcosa che ha avuto una grande spinta per esempio durante la pandemia quando chiusi in casa ci siamo accorti di quanto gli spazi pubblici e le nostre città fossero organizzati a servizio quasi non delle persone ma dei veicoli e delle merci. C’è un piano per rendere la città alle persone, rendere la vivibilità e la qualità dello spazio pubblico sia nell’ottica di occupare gli spazi con le attività sociali sia in quella di rimettere, ricostruire e consolidare delle reti sociali che possano prendersi cura degli spazi: penso ai giardini, a zone che vengono rigenerate anche da comitati – e qui ad esempio anche i quartieri con i Patti di Collaborazione hanno avuto un ruolo molto importante – penso alle pedonalizzazioni vicino ai luoghi più sensibili come le scuole, per esempio abbiamo fatto diverse piazze scolastiche e proprio a Navile c’è stata la prima, stiamo facendo le strade scolastiche, più piste ciclabili. Stiamo facendo la Città 30 che non è solo un divieto di accelerare – che pure è uno dei motivi che più ci spingono ad andare in questa direzione perché la velocità con l’automobile è la prima causa di morte su strada – ma è anche proprio una concezione di come si sta su strada ed è per questo che Città 30 è anche le cose che ti dicevo prima. Torna un tassello del mosaico che è il tram, un’opera molto importante, un servizio pubblico ecologico, efficiente e che collega la città con l’idea che per avere meno macchine in strada io politica e io amministrazione devo mettere le persone in grado di poter scegliere di non usare la macchina. Perché se semplicemente dico “non dovete usare la macchina perché inquina” faccio un’affermazione ideologica che mi allontana da quello che è il sentire la quotidianità di una persona che deve muoversi per andare a lavorare, per andare a prendere i figli da un capo all’altro della città metropolitana ed ha bisogno della macchina ed è su questo che c’è anche un investimento dell’SFM, del Servizio Ferroviario Metropolitano. È una visione politica di questo tipo che stiamo cercando di far confluire con un insieme di progetti, che apparentemente sembrano scollegati o non vicini l’uno con l’altro, ma che concorrono invece allo stesso obiettivo.
Ho seguito il “lancio” di Bologna Città 30, prima grande città 30 in Italia, perché Bologna è la prima città metropolitana 30. A qualche mese da questa scelta che aveva anche sollevato pareri contrastanti, da questa iniziativa che però fa parte di una visione e di un progetto più ampi, come credi che i bolognesi la stiano vivendo? Ne hanno compreso le ragioni?
È un lavoro in itinere che stiamo facendo, perché a luglio quando è stata lanciata è stato lanciato anche un grande percorso di ascolto e di consultazione con un questionario che ha raccolto anche molte critiche costruttive. L’amministrazione sta facendo, attraverso l’istituto centrale e anche nei quartieri, delle valutazioni nel merito di alcune cose che possono essere cambiate e migliorate perché, diciamolo bene, Città 30 non significa che in tutta la città si debba andare ai 30 km/h ma che ci si debba andare in alcune zone per dare l’andamento complessivo di una minor velocità e quindi di una maggiore sicurezza; ciò comporta anche delle migliorie strutturali per le strade e i marciapiedi. Stiamo raccogliendo tutti quegli elementi che possono facilitare una migliore è più sicura viabilità. Da luglio è stata lanciata questa campagna, Città 30, anche con le sanzioni, che entrerà in vigore il 16 gennaio e siamo in costante ascolto; io credo davvero che le persone capiranno tra qualche tempo tra uno, due o tre anni. È come per le pedonalizzazioni che noi tutti diamo per scontato: credo che tutti strabuzziamo gli occhi all’idea che c’è stata una forte battaglia per non pedonalizzare via D’Azeglio, per esempio. Il nostro centro storico, anche per l’evento che stiamo monitorando della Garisenda deve essere presentato al meglio e questa è anche l’occasione per dare al trasporto pubblico e a come ci muoviamo in città un’occasione per essere organizzati al meglio; io ci voglio vedere del buono, poi è evidente che tutti i cambiamenti siano difficili, faticosi e vadano spiegati e accompagnati. È questo il compito della politica ed è quello che stiamo facendo con il sindaco Lepore perché la nostra generazione, io di questo mi sto convincendo, noi cresciuti con l’idea che non ci sarebbero stati certi problemi invece li stiamo affrontando tutti, noi nati fra gli anni Settanta e Ottanta, che ci stiamo facendo carico anche di scelte che non sono state fatte in passato ma che ora non sono più rinviabili e su questo abbiamo l’energia ma proprio anche una visione politica che vogliamo portare avanti. Su Città 30 per esempio io stessa sono stata a Roma, invitata alla Camera dei Deputati quando è stata presentata la Legge nazionale della Commissione Trasporti proprio perché come Segretaria del PD di Bologna c’è un investimento politico su questo: è proprio una nostra idea di mobilità e di vivibilità dello spazio pubblico e delle strade. È proprio perché non diciamo solo di non usare la macchina ma volgiamo fornire alternative che investiamo sul tram, sul sistema ferroviario metropolitano, come stanno facendo anche altre città metropolitane europee, perché è così che bisogna fare per migliorare la vita delle persone.
I quartieri di Bologna rispondono tutti allo stesso modo o ce ne sono alcuni più refrattari, se così si può dire, a questi interventi?
Bologna è una città molto ricca, innanzitutto di patrimonio pubblico, che è la nostra forza ma che ci mette anche molto alla prova; c’è stato anche il frutto di politiche che hanno visto l’amministrazione comunale in prima linea nella gestione di servizi – come immobili propri – che ovviamente hanno anche dei costi in più da dover affrontare, ancora di più in tempi di bilanci non facili. I rincari dovuti alla Guerra in Ucraina hanno fatto sì che purtroppo anche molti degli investimenti sui lavori pubblici siano stati congelati e lo dico anche da Presidente del Quartiere. Noi abbiano un piano triennale dei lavori pubblici che è congelato in virtù del fatto che tutte le risorse proprie del comune sono dovute andare a coprire i costi dell’energia per tenere aperte le scuole, gli impianti sportivi e questo è un dato ed è un dato con cui ci vogliamo confrontare con anche molta frustrazione, perché erano lavori pubblici anche di rigenerazione – come quello di Navile di un centro civico, di un plesso, su cui avevamo in mente di fare delle attività di sostenibilità a livello educativo. Per quello che riguarda il comune abbiamo le risorse del PNRR che invece sono molto importanti e che stanno andando avanti e poi c’è tutto il tema delle grosse trasformazioni della città. Ad esempio penso alla “Città della Conoscenza” che attraversa il Quartiere Navile e che sarà un grande volano di rigenerazione e di occupazione e anche un modo in più per collegare la città non solo dal centro alle periferie ma anche in una maniera più equa e sempre con una visione metropolitana, perché non dimentico mai che Bologna non è soltanto il Comune di Bologna e che anche la nostra forza e il nostro impatto di grande città a livello nazionale è dovuto al fatto che siamo la Bologna da un milione di abitanti, la Bologna metropolitana. È questo, con il sindaco Lepore, che stiamo cercando di portare avanti, è questa la prospettiva.
Come abbiamo ricordato prima oltre ad essere Segretaria della Federazione provinciale sei anche Presidente del Quartiere Navile; il tuo lavoro implica molto impegno, altrettanta responsabilità e soprattutto visione. Quali sono i temi urgenti per te da portare avanti agli albori di questo nuovo anno?
Inizio dalla politica. Il 9 giugno abbiamo una tornata elettorale molto importante: le amministrative e le europee, lo stesso giorno. Per la Federazione del PD di Bologna è la tornata elettorale con il maggior numero di comuni, 37 (perché la Federazione di Imola è a parte), vanno al voto tutti i comuni eccezion fatta che per Bologna, San Giovanni in Persiceto, Budrio, ecc ma è davvero la tornata elettorale più importante. È anche la tornata che vede molti rinnovi cioè la fine dei due mandati dei sindaci e delle sindache e quindi è un’occasione per ridare una spinta importante a quell’azione amministrativa e politica che vogliamo mettere in campo per Bologna e che racchiude molte delle cose che ti stavo raccontando. In parallelo le europee che sono un’elezione molto differente, molto più politica se vuoi, saranno un test importante anche per il PD a livello nazionale e per la tenuta e per la direzione che l’Unione Europea dovrà prendere. Perché è un’Unione Europea che, non esito a dire, in molti frangenti ci ha anche deluso e ha mostrato delle carenze con un grandissimo e straordinario colpo d’ala in tempo di pandemia con il nextgeneration.eu e con l’aver capito che la politica del rigore e dell’austerità stava ammazzando l’Unione Europea stessa e che una visione prettamente burocratica è quanto di più lontano anche rispetto a una prospettiva di Unione degli Stati e di un’Europa senza guerra che voleva crescere con anche degli ideali di giustizia sociale. Con la guerra in un territorio europeo di fatto, tra l’Ucraina e la Russia, e con un’altra guerra in Medio Oriente ancora più drammatica e cruenta si vede come il peso politico dell’Europa non sia tanto forte quanto dovrebbe essere, perché il valore della pace non è semplicemente un’utopia ma è un processo politico che si porta avanti attraverso la diplomazia, la politica stessa. A me preoccupa questa concezione, che in questi anni è molto avanzata, rispetto a una belligeranza che deve essere agita – e non perché non ci siano delle precise responsabilità rispetto a chi ha scatenato invasioni o stragi o rapimenti – ma è qui che la forza della politica non può essere in un’ottica vendicativa ma deve trovare delle ragioni che portino a far cessare il conflitto. A Gaza noi stiamo assistendo a una sorta di genocidio con bambini che muoiono di fame, con donne e uomini che non riescono a curarsi e che è diventato un elemento dell’azione bellica ed è un qualcosa di disumano, di una gravità enorme, per cui l’Europa dovrebbe essere unita nel dire che non è così la nostra visione di geopolitica e di relazioni internazionali. Io spero che ci possa essere anche uno spazio per dire questo, perché ha molto a che fare anche con la credibilità della politica e di quello che la politica deve fare, ossia offrire un mondo diverso che quindi non è semplicemente il tecnicismo o un’azione immediata ma è proprio un’idea di mondo nel quale si vuole stare e che si vuole costruire; e la pace, ce lo dicono i fondatori e le fondatrici da Ventotene in poi, la pace è la caratteristica principale della nostra Unione Europea.