Intervista a cura di Antonella Di Pietro

A 40 anni dalla morte di Enrico Berlinguer il suo ricordo vive ancora, non solo nelle immagini del più grande funerale di massa della storia del nostro paese, ma come una figura che ancora oggi rimane esempio e rifermento per tutte le generazioni, anche le più giovani. A ricordarlo, tra gli altri, con un discorso alla Camera di forte impatto politico e umano che ha lasciato il segno, è stato l’On. Gianni Cuperlo, leader nazionale del Partito Democratico e di Promessa Democratica, con un lungo percorso politico che inizia dagli anni del liceo, prosegue nella Fgci (di cui è stato segretario nazionale dal1988 al 1992) e nella direzione politica del Pci prima e di PDS, DS e
PD poi.

ADP. Nel tuo intervento alla Camera e nei diversi incontri nazionali e politici a cui hai partecipato in occasione del quarantesimo anniversario dalla morte di Berlinguer, più volte hai sottolineato che “questo rispetto e questo affetto mai sopiti” si colgono da diversi anni nelle piazze, nei teatri, nei libri che lo raccontano e tra la gente. Tu, Gianni, sostieni che ciò non è frutto di nostalgia ma che questo profondo rispetto e affetto – testimoniato anche dalle migliaia di visite di giovani, allora neppure nati, alla mostra su Berlinguer, promossa
dalla Fondazione che porta il suo nome – “è frutto della coscienza su ciò che è venuto a mancare dopo”.  Partiamo da qui per iniziare a riflettere su quanto la visione, la passione e la concretezza politica di Enrico siano ancora oggi necessarie e attuali.


Berlinguer è stato un comunista italiano, dove l’aggettivo non è dettaglio, ma sostanza. Nei 12 anni della sua segreteria ha coltivato una sola strategia: avvicinare il più possibile il suo partito all’esercizio di una responsabilità nel Governo nazionale del Paese, e non c’è dubbio che egli sia stato il leader che, dopo la rottura del 1947, più si è avvicinato a quel traguardo. Berlinguer ha avuto una sola strategia e un unico vero interlocutore nella Democrazia Cristiana, Aldo Moro. Con la morte di Moro, anche la strategia berlingueriana va incontro a un paradosso. Berlinguer prende
atto del patto di governo tra il partito di maggioranza relativa e le forze laiche e socialiste, e a quel punto la via del governo gli appare preclusa. Il paradosso vive qui: perché può darsi il caso di un leader politico dotato di una strategia ma senza un popolo alle spalle; è più raro il caso di un leader orfano di una strategia a lungo coltivata ma cosciente che dietro di lui c’è ancora un popolo pronto a seguirlo. Quella è la condizione che accompagna gli anni finali della vita di Enrico Berlinguer: un
italiano su tre votava comunista, ma è in quel passaggio di tempo che una generazione scopre quel leader così anomalo nello stile, nella sobrietà e in una lingua corredata dall’eleganza di un accento sassarese. E quella generazione si innamora di lui. Avviene perché la scelta del segretario comunista è la più difficile e anche la più coraggiosa. Lui sceglie di proiettare quel patrimonio di consenso e di passioni dentro un tempo storico che era di là da venire. Sono gli anni della denuncia e della proposta. Con Eugenio Scalfari accusa i guasti di partiti incistati nello Stato e nel
potere. Non tutti, anche dentro i vertici del suo partito, capiranno; alcuni avrebbero giudicato le sue parole una deriva moralistica, minoritaria, mentre erano l’opposto, la denuncia di una decadenza che avrebbe portato al collasso del sistema politico. Negli anni successivi, Berlinguer avrebbe schiuso porte su tutti i principali capitoli della modernità, della nostra modernità: la pace, la lotta alla mafia in una battaglia che Pio La Torre avrebbe pagato con la vita, le frontiere dei diritti civili, il pensiero femminista, le radici dell’ambientalismo. Quella stagione e quell’uomo ebbero la forza di dettare un’agenda che ogni altra cultura e movimento avrebbe coltivato solamente nel dopo.

ADP. Si trattò dell’utopia di una mente visionaria?

Penso di no. Fu altro, fu la testimonianza di un pensiero non ripiegato unicamente sulla conquista del potere; fu la ricerca di un senso che la politica deve coltivare e che oggi milioni di giovani cercano. E questa, tra le tante, è forse la sua eredità più preziosa che però non sempre ci ha visti all’altezza. In quella sua ricerca, la bussola era la difesa e la promozione degli umili, degli ultimi, dei ceti più popolari. Non c’era alcun moralismo in quelle battaglie, c’era il primato di una questione sociale che, ieri come oggi, è prima di tutto un’enorme questione morale. Nello scorcio finale della
sua vita, Berlinguer fu messo in minoranza dalla direzione del suo partito, per onestà anche questo va detto, ma con la stessa onestà possiamo dire che, se perse il consenso di un pezzo della classe dirigente, conquistò la stima e l’affetto di un popolo. Lo ha spiegato bene il più giovane addetto alla sua scorta: “I colleghi vecchi lo avevano protetto dalla violenza del terrorismo, noi giovani lo abbiamo protetto dal troppo amore della sua gente”. Su quanti altri si potrebbe dire qualcosa di simile?

ADP. Un amore che si rivelò in modo clamoroso durante la sua agonia e il giorno dei suoi funerali, è così vero?

Scorsero fiumi di inchiostro in quelle giornate del giugno di 40 anni fa, ma fu Mario Melloni, in arte Fortebraccio, a salutarlo sulla prima pagina de l’Unità con le parole più sincere e più profonde. Due righe sulla prima pagina di quel quotidiano: “È stato un uomo politico. Vi pare una banalità?”. No, non era una banalità allora e non lo è oggi, a quattro decenni di distanza. E su questo mi piace ricordare una domanda emblematica che gli fu posta da Giovanni Minoli nella sua ultima intervista a Mixer: “Cosa vorrebbe che si dicesse di lei?”. E lui di rimando: “Che sono rimasto fedele agli ideali della mia gioventù”. Fosse solo per questo, noi, venuti dopo, possiamo dire solamente grazie.

ADP. Berlinguer resta la figura di riferimento che ha portato all’epoca tu e tanti di voi a scegliere di far parte della sinistra. Il suo stile così diverso dagli altri, la sobrietà, il rispetto profondo per la militanza, le sue intuizioni, il suo pensiero anticipatore, visionario. Tutti aspetti che per voi giovani dell’epoca interpretavano al meglio l’idea di una sinistra coraggiosa e moderna.

Cosa va recuperato oggi?

Sicuramente andrebbe recuperata la capacità di vivere e interpretare la politica – e uso le sue parole – come “una passione degna di riempire una vita” e andrebbe trovata una strada per far sì che il partito torni a essere un luogo culturale e politico di riferimento, riscoprendo in primo luogo l’importanza di lottare per il bene comune e lo spirito di comunità. Andrebbe recuperata – e oggi ci sono alcuni segnali che vanno in quella direzione – una nuova alleanza sociale e una reale radicalità per costruire un’altra Italia. Oggi più che mai abbiamo il compito di recuperare la storia e guardare al futuro, di credere nel legame che la storia ha sempre avuto tra la spinta al cambiamento e i sentimenti delle persone. Oggi più che mai i princìpi di portata universale a partire dalla pace vanno presidiati.

ADP. Cominciando da quali battaglie e con quale approccio?


A tutte le azioni anticostituzionali del governo Meloni – dal premierato all’autonomia differenziata, dal DDL Sicurezza al Decreto Caivano al Decreto Carceri, dai tagli alle politiche abitative, alla sanità e al welfare – va contrapposta un’alternativa concreta e credibile. Questa epoca, per quanto buia e preoccupante può dare inizio a una nuova stagione da vivere con le persone in carne, ossa e sentimenti. Lo dimostrano le battaglie sul salario minimo, i referendum che stiamo sostenendo, la raccolta firme sulla cittadinanza che in pochissimo tempo si è tradotta in una mobilitazione straordinaria. Tutte queste iniziative dimostrano che le battaglie sociali, civili e umane si possono vincere quando attraversano il paese reale. Facilitarle e promuoverle è compito della sinistra. L’approccio è quello della passione, della spinta e della connessione emotiva con le persone, lo stesso che muoveva Berlinguer.

L'autore

Avatar photo

Antonella Di Pietro

Nata a Chiaravalle (AN) il 16.07.1979, vive a Bologna dal 2000 dove consegue la Laurea in Educatore professionale presso la Facoltà di Scienze dell’Educazione-Università degli studi di Bologna.
In quegli anni, oltre a lavorare per mantenersi agli studi, sviluppa un senso di impegno civico attraverso esperienze di volontariato nell’ambito sociale e culturale con una particolare attenzione ai temi dell’intergenerazionalità.
Diventa attivista del Partito Democratico nel 2007.
Dal 2005 è attiva in Auser Bologna dove attualmente ricopre il ruolo di Responsabile in progettazione sociale.
Nel suo percorso professionale frequenta diversi corsi per affinare le competenze su progettazione sociale, lavoro di rete e sviluppo di comunità, volontariato e partecipazione, tra cui nel 2021, il Master in Welfare Community Manager presso l’Università degli studi di Bologna.
Nel mandato amministrativo 2016-2021 è Consigliera di Quartiere Navile con delega al Commercio e alla Cittadinanza attiva. In questi anni collabora attivamente con i cittadini, i commercianti e le associazioni, in particolare per percorsi di cittadinanza attiva e solidarietà, commercio di prossimità, iniziative socio culturali e di marketing sociale.
Attualmente è Consigliera Comunale a Bologna e membro della Segreteria PD Bologna.