Nel secondo semestre dell’anno in corso l’associazione O.Me.G.A. (Osservatorio Mediterraneo di Geopolitica e Antropologia), di Roma (https://www.omeganews.info), che ha fra le propri missioni l’analisi e l’approfondimento dei temi che interessano la regione mediterranea, ha svolto tre convegni dedicati ai principali fattori che incidono sul tono geopolitico dell’area in materia di sicurezza, ambiente, tecnologia e difesa. Temi che attraversano un mare e una regione di particolare interesse per l’Italia e per l’Europa, cui entrambe prestano però meno attenzione di quanto sarebbe auspicabile. I convegni sono stati raggruppati sotto i seguenti titoli: “Mediterraneo allargato o ristretto?” (23 aprile); “Il Mediterraneo e la sfida ambientale e climatica” (6 maggio); “Il Mediterraneo e la sicurezza” (3 giugno). Oltre che costituire un’interessante opportunità per il pubblico generico (le conferenze sono registrate in video e diffuse successivamente sui canali social), i convegni organizzati da O.Me.G.A. forniscono crediti formativi per i giornalisti dell’Ordine del Lazio, che vi partecipano con interesse e vivace interlocuzione.
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Il titolo del primo convegno, “Mediterraneo allargato o ristretto?”, è stato concepito in modo volutamente provocatorio: il Mediterraneo può essere ancora considerato “allargato”, secondo il noto concetto strategico che vede il nostro mare geopoliticamente esteso dal Golfo di Guinea all’Oceano Indiano, oppure le tensioni recentemente emerse nel Mar Rosso a seguito degli attacchi contro le navi mercantili perpetrati degli houti, tensioni che inducono molti armatori a circumnavigare l’Africa piuttosto che esporre le proprie navi, rischiano di “restringere” di nuovo il nostro mare, riportandolo alla pura dimensione geografica e a un più limitato ruolo commerciale, geopolitico e strategico?
Il concetto del Mediterraneo allargato, nel quale il bacino geograficamente considerato si colloca al centro di una più ampia regione geopolitica, è stato elaborato a seguito della constatazione che vede questo bacino come un “medio oceano”, giacché si pone sulla via marittima più breve fra l’Oceano Indiano e l’Atlantico, e quindi sulla linea più utilizzata dai grandi traffici internazionali. Il bacino rappresenta inoltre un’area focale degli eventi geopolitici che da esso si irradiano oltre i meri limiti geografici e che su di esso ricadono da critiche aree limitrofe. Per questo il Mediterraneo allargato è definito come l’ampia regione del mondo che copre anche le grandi aree marittime limitrofe o a esso collegate, dove, fra pirateria e conflitti politici, si manifestano eventi che finiscono per avere grande influenza sul nostro mare, sia in termini di traffici e di economia che in termini di crisi e instabilità. L’attuale impraticabilità, o scarsa praticabilità, del Mar Rosso isola il Mediterraneo rispetto ai grandi traffici marittimi, che ora approdano in Marocco o a Rotterdam dopo aver circumnavigato l’Africa. Questo penalizza i nostri principali porti e priva il Mediterraneo di una centralità che, sebbene in una più lunga prospettiva, appare minacciata anche dalla progressiva apertura delle rotte artiche che saranno rese transitabili dallo scioglimento dei ghiacci. Tuttavia, anzi proprio per questi motivi, appare ancora necessario interpretare in senso “allargato” la realtà del nostro mare e delle regioni circostanti, passando per implicazioni che vanno da questioni puramente economiche e commerciali a questioni più generali di libertà e sicurezza della navigazione, coinvolgendo la stessa identità antropologica e sociale della regione.
Questa è stata la condivisa valutazione emersa dall’evento, il quale si è valso degli interventi di brillanti relatori e ha permesso di percorrere tutti i più rilevanti temi: l’importanza del mare e dell’area mediterranea per il nostro paese e per l’Europa, la necessità di guardare con maggior cura al proliferarvisi di crisi e all’avvento di potenze aliene, l’esigenza che forze diverse, le marine militari, la diplomazia, la scienza, concorrano alla rivitalizzazione del bacino, la necessità di smettere di considerare quest’ultimo come sede e fonte di problemi ma piuttosto, e fuor di ogni retorica, come fonte di opportunità economiche e sociali. Anche perché nel Mediterraneo, come in tutti i mari del mondo, si apre un nuovo fronte: quello dei fondali, i quali sono conosciuti solo per il venti per cento dell’immensa estensione e mappati per molto meno. I fondali non sono critici e strategici solo perché sede di passaggio di condotte energetiche e di cavi per la trasmissione di dati, ma anche per le risorse, non solo minerarie, e per le opportunità che potranno derivare dalla loro conoscenza e dal loro controllo. Non è del resto casuale che molti paesi rivieraschi del Mediterraneo abbiano dichiarato da qualche anno proprie zone economiche esclusive, entrando talvolta in conflitto tra loro.
A fronte delle descritte problematiche di imponente complessità, il convegno ha permesso di registrare l’intenso impegno che molti operatori pubblici e privati profondono nelle varie materie inerenti al mare, alla centralità del Mediterraneo e alla promozione della marittimità del nostro paese. A questo corrisponde purtroppo l’insufficiente azione della politica, sia per quanto riguarda l’Italia che per l’intera Europa, entrambe oggi irrilevanti nelle crescenti sfide che attraversano la regione e incapaci di esprimere una politica estera autonoma rispetto agli interventi di altre potenze e agli interessi degli Stati Uniti. Questa carenza, segnalata da tutti gli oratori e da coloro che sono intervenuti nel dibattito, rappresenta forse il più grande rischio per la regione mediterranea, la quale senza visione, controllo e azione da parte della politica, rischia di rimanere in balia delle potenze aliene, delle ricorrenti crisi e del conseguente caos.
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Una maggior “guida” politica da parte europea e italiana sarebbe viceversa indispensabile anche in tema ambientale. Se infatti il Mediterraneo è centrale in termini di navigazione, traffici navali e geopolitica, certamente lo è anche per quanto riguarda la pressante emergenza della crisi climatica e del riscaldamento globale, giacendo in una delle zone geografiche mondiali dove i nefasti effetti dell’una e dell’altro si fanno e si faranno sentire in misura maggiore rispetto alla media planetaria. Si pone pertanto ai popoli mediterranei una serie di straordinarie sfide: l’adattamento al mutare delle condizioni; la ricerca di sufficienti fonti di energia sostenibile; la lotta alle varie forme di inquinamento marino; la preservazione delle risorse; la gestione dell’acqua potabile; la necessità di normative giuridiche che superino la frammentazione legislativa in materia di pesca e di sfruttamento dei fondali; accordi che limitino i problemi di zone economiche esclusive concorrenti e sovrapposte. Pur nella preoccupante situazione climatica, ai paesi mediterranei, i quali tutti incidono in un bacino di comune interesse e dalle comuni implicazioni, si offre tuttavia l’opportunità di farsi modello per tutto il mondo nel fronteggiare i cambiamenti ambientali in modo efficace e sostenibile.
Esiste naturalmente una relazione fra le condizioni del Mediterraneo e quelle generali del mondo, da cui le prime ovviamente dipendono. I risultati dei vari vertici internazionali che si sono succeduti in ambito COP non sembrano aver prodotto inversioni nella proliferazione di produzioni climalteranti e inquinanti. Né le invenzioni ingegneristiche che pure si sono succedute sembrano in grado di poter sopperire all’assenza di radicali politiche di contrasto agli effetti di tali produzioni. Valga come esempio su tutti la crescente accumulazione di materia plastica nei mari e negli oceani: i vari rimedi tecnici immaginati negli anni, non riescono a raccogliere che una minima parte della plastica che continua a esser sversata in mare. Oltre a creare enormi ammassi di materia sintetica in varie aree marittime, la plastica inquina i fondali e interferisce pesantemente con la biologia marina, e in definitiva, attraverso l’alimentazione, con la stessa biologia umana. Con la biologia interferisce ovviamente anche il riscaldamento delle acque, che influisce sulla salinità e sulla presenza di ossigeno di cui le varie specie hanno bisogno per vivere. Basterebbe questo a comprendere finalmente quanto sia necessario e urgente abbandonare le insufficienti politiche dei piccoli passi, peraltro di fatto non coordinate da alcuno né osservate da tutti i paesi, per procedere piuttosto a un vero e proprio cambio di paradigma economico e produttivo. Diversamente, non potremo che assistere a progressivi e prolungati picchi di calore, all’inarrestabile innalzamento dei mari, alla crescente scarsità di acqua potabile.
A parte le conseguenze sull’ambiente e sulla qualità della vita delle specie viventi, compresa quella umana, la crisi climatica ha e avrà in crescente misura effetti sulla geopolitica di vaste aree mondiali. Qui, ancora una volta, il Mediterraneo riveste peculiarità in grado di aggravare i vari fenomeni. Basterà pensare al tema delle migrazioni, giacché l’incipiente impossibilità di reperire acqua, prodotti agricoli e proteine in misura sufficiente in enormi regioni dell’Africa, non farà altro che spingere flussi sempre più grandi di migranti verso le sponde settentrionali del nostro mare. Dove, intanto, i vari paesi rivieraschi riflettono e operano al fine di assicurarsi anche per il futuro fonti energetiche e minerarie custodite dai fondi marini: idrocarburi, ma anche terre rare e minerali necessari per le moderne tecnologie, non ultime quelle indispensabili ai fini dell’energia rinnovabile. È per questo che negli ultimi anni vari paesi hanno dichiarato in modo del tutto autoreferenziale l’estensione delle rispettive Zone Economiche Esclusive (ZEE), entro le quali poter essere i soli a sfruttare i fondali e le colonne d’acqua sovrastanti, ma anche a poter progettare parchi eolici marini per la produzione di energia sostenibile. Il proliferare di ZEE ha creato una situazione alquanto caotica, con ZEE che si sovrappongono o che interferiscono con le altre; cosa che richiederà una serie di accordi bilaterali, nel Mediterraneo più necessari che altrove, considerato che una pluralità di paesi incidono in un bacino dopotutto circoscritto e ristretto.
Come si muove l’Italia in quest’ampia congerie di temi marittimi? Adottando complesse politiche istituzionali, non sempre coerenti e tra loro compatibili, e faticosi progetti di massima per l’energia sostenibile e per la protezione della “blue economy”. Il nostro paese sconta una frammentazione delle competenze marittime fra varie amministrazioni, e lo stesso Corpo delle Capitanerie di Porto, l’organismo istituzionale italiano che annovera e raccoglie tutte le variegate funzioni operative marittime, dipende funzionalmente da vari ministeri. Un’encomiabile misura, finalizzata alla coerenza e al coordinamento delle politiche marittime, è stata ultimamente l’affidamento delle relative competenze a un solo dicastero, quello della Protezione Civile e delle Politiche del Mare. Il ministero è assistito dal Comitato Interministeriale delle Politiche del Mare (CIPOM), nel quale confluiscono tutte le questioni marittime e le visioni dei vari portatori d’interesse e degli istituti di ricerca. Si tratta di un significativo mutamento del modo con cui la politica italiana guarda al mare, purché non resti ingabbiato nella complessa rete burocratica, obsoleta e talvolta ostruttiva, che caratterizza, in generale e in particolare sui temi marittimi, l’azione amministrativa del nostro paese. Rendere agile ed efficiente l’intero sistema tecnico, legislativo, amministrativo e operativo che ruota attorno al mare, sarà fondamentale per valorizzare la ricca e vitale economia che emerge dalla straordinaria risorsa che il mare rappresenta per i popoli, per la specie umana, e per un paese immerso nelle acque, com’è l’Italia.
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Allargato o meno che lo si voglia considerare, infatti, il Mediterraneo è e resterà centrale in quanto a temi di sicurezza e a temi di ampi sommovimenti sociali, e questo interesserà soprattutto il nostro paese e, più in prospettiva, l’Europa. Da tempo concupito anche da potenze esterne alla regione, il nostro mare ha visto insorgere recentemente, e per alcune di esse risorgere, l’attivismo di potenze appartenenti all’area, come Turchia ed Egitto; ma anche di potenze più lontane, come Russia, Cina, Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti; e subisce minacce anche da parte dell’Iran. La concorrenza fra le potenze incide sulla pacifica gestione strategica della regione e apre un’aspra competizione sullo sfruttamento delle risorse minerarie che si vanno via via scoprendo nei fondali del bacino. Gasdotti e cavi di comunicazione dati rischiano di essere vittima di azioni militari più o meno asimmetriche, mentre questioni di sicurezza, di guerra e di clima accresceranno le correnti migratorie verso l’Europa. Le implicazioni del complesso scenario, ove non fronteggiate con equilibrio e spirito collettivo, rischiano non solo di emarginare l’area dall’evoluzione dell’economia globale, ma anche di farvi insorgere focolai di conflitti locali e di crisi sociali di difficile gestione.
Sul complesso scenario incidono certamente temi politici e sociali; ma incidono anche questioni più tecniche, come le visioni, azioni e previsioni tipicamente inerenti alla difesa e alla sicurezza, la predisposizione anche ingegneristica di apparati in grado di svolgere la necessaria sorveglianza sui rischi del nostro mare, le ripercussioni, magari indirette, di crisi più lontane. Il ricco retaggio storico, infine, e la capacità soprattutto del nostro paese, che nel Mediterraneo è immerso, di far fronte alle sfide e di raccogliere le opportunità, fanno da sfondo, nella prospettiva che più da vicino ci riguarda, al futuro che possiamo aspettarci e su cui possiamo sperare di intervenire. Il panorama della sicurezza passa necessariamente per riferimenti normativi nazionali e internazionali (ONU, NATO, UE), e attraversa alcuni concetti di base, come la stretta connessione tra sicurezza interna ed esterna. Le dimensioni spaziale e sottomarina fanno certamente parte dello scenario mediterraneo, in un concetto di “mare” che comprende tutte le zone e gli spazi che la moderna tecnologia consente di raggiungere. Le principali vulnerabilità si concentrano nei “choke point” di accesso e transito nel Mediterraneo allargato; fondamentalmente Gibilterra, gli Stretti per antonomasia (Bosforo e Dardanelli), il Canale di Suez, lo Stretto di Bab el Mandeb e lo Stretto di Hormuz. La loro criticità e importanza è già emersa sia per eventi accidentali sia per atti deliberati come nel Bab el Mandeb; criticità non solo per le vie marittime di superficie ma anche per le connessioni con i cavi sottomarini lungo i quali scorrono oramai i dati fondamentali per le comunicazioni, l’economia, la società.
Nel quadro complessivo delle cooperazioni politico-militari di interesse per il Mediterraneo, l’ Italia riveste una posizione baricentrica, non solo per la mera posizione geografica, ma anche per l’impegno che la nostra Difesa e la nostra Marina Militare vi profondono. Le direttive e scelte politico-strategiche si concretizzano nelle operazioni nazionali e in quelle ONU, NATO e UE in cui sono presenti contingenti italiani. Esse coprono l’intero arco di crisi e conflitti che caratterizza lo scenario attuale. Una particolare e rilevante forma di cooperazione in campo marittimo è rappresentata dal Virtual Regional Maritime Traffic Centre (VMTC), vero e proprio network di scambio di informazioni tra marine di quarantadue paesi in cinque continenti che permette di avere in tempo reale una visione completa sul traffico mercantile che attraversa mari e oceani del mondo. Nel contesto descritto, NATO, UE e Italia possono certamente dare ulteriori significativi contributi alla stabilità e alla prevenzione o gestione di crisi e conflitti.
Tali collaborazioni, tuttavia, non sarebbero possibili senza l’apporto di funzionali strutture organizzative nazionali e internazionali e senza il supporto della tecnica ingegneristica. Più il progresso tecnico va avanti, infatti, più aumentano le vulnerabilità e la possibilità di attacchi anche molto gravi (nel corso del convegno è stato commentato come frutto di possibile attacco cibernetico l’incidente di Baltimora, nel quale nel marzo scorso una nave cargo ha urtato il ponte Francis Scott Key facendone crollare un tratto). I fondali marini, e ciò che forniscono oggi e forniranno in futuro in materia di risorse, energia e comunicazioni, contribuiranno al benessere della popolazione mondiale. Va al riguardo ricordato che il 70% della superficie terrestre è mare, e sotto i fondali c’è il 70% di ciò che ci serve per vivere: il cibo del futuro, il petrolio, il gas, i minerali e le terre rare necessari per le fonti energetiche alternative; un immenso patrimonio di opportunità e risorse, ancora per l’80% inesplorato; un immenso territorio percorso da cavi che convogliano il 98% delle comunicazioni; anche qui, un esempio su tutti valga a dimostrare la vulnerabilità di questo grande patrimonio: il sabotaggio del Nord Stream (mentre si sospetta che anche gli Houti abbiano attaccato cavi dati nel Mar Rosso).
Non è certo quindi casuale che la Marina Militare italiana abbia lanciato l’Operazione Fondali Sicuri e stia perfezionando le capacità di sorveglianza e intervento in questo delicato ambiente, grazie a reti di sensori attivi e passivi gestiti da un network di nodi destinati ad immagazzinare dati ai centri a terra e a droni sottomarini residenti sul fondo. La gestione incrociata delle varie attività, concepite per la sicurezza e difesa ma suscettibili di importanti e positive ricadute in ambito civile (protezione archeologica, energia dal mare, raccolta di dati per la protezione antinquinamento in ambiente marino, oceanografia, geologia sottomarina…), è affidata a strutture militari e strutture civili, alle aziende coinvolte nella progettazione e produzione di apparati e congegni idonei alla complessità delle attività operative, agli enti di ricerca attivi nel settore.
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Su tutto questo incombono le crisi vicine e lontane che interessano il nostro Mediterraneo Allargato. È il caso dell’intrigo di conflitti che percorrono Israele, Gaza e la Palestina, lo Yemen e il Mar Rosso, il Medio Oriente in generale; crisi certo policentriche, che hanno tuttavia una delle loro radici nella politica egemonica iraniana, scossa ultimamente dall’incidente aereo in cui hanno perso la vita il Presidente Raisi e il Ministro degli Esteri di Teheran. L’incidente è avvenuto in un momento di particolare effervescenza per l’Iran, dove le ribellioni alla tradizione e all’oppressione del regime e la transizione generazionale che interessa la società e il potere stanno cambiando in prospettiva i futuri scenari di un paese in cui l’egemonia del clero è stata già di fatto soppiantata da quella degli ambienti militari. Transizione generazionale e dissenso, che non interessano solo il tema del velo imposto alle donne né solo la generale situazione femminile, muteranno certamente il quadro del potere e del suo rapporto con la società, mentre Teheran, pur contando ancora nella regione sulle tradizionali e forti alleanze di gruppi e milizie, non dispone più su di esse di un controllo a priori.
Non certo sugli Houti, che sono radicati nella storia dello Yemen e nutrono una specifica agenda per la loro collocazione nel paese e nei suoi intorni regionali; non certo su Hamas, focalizzata specificamente sulla settantennale situazione della Palestina; ma nemmeno su Hezbollah, che certamente era in passato un attore esclusivamente agli ordini del regime iraniano, ma che è attualmente e progressivamente sempre più concentrato sulle vicissitudini proprie del Libano. Seguire, decifrare e comprendere gli sviluppi di quello che succede in Iran fornirà certamente valutazioni idonee a meglio osservare ciò che sta avvenendo nell’area mediorientale, dove i Patti di Abramo sembrano procedere, seppur con qualche rallentamento, e dove aleggia il “convitato di pietra” del negoziato sul nucleare iraniano con tutti gli intoppi e le incertezze che ha vissuto ultimamente.
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Non è confortante la sintesi che si può trarre dalle indicazioni emerse dai tre convegni. Il Mediterraneo, in quanto area geopolitica e concetto strategico, è stato tradizionalmente trascurato dall’Unione Europea, pervasa soprattutto da logiche nordiche e mitteleuropee, e dalla NATO, da sempre ossessionata, e a maggior ragione a conseguenza della guerra in Ucraina, dal fronte orientale. Sono fondamentalmente questi i motivi di disattenzione e conseguente sostanziale fallimento dei tre processi che, senza effettivo interesse e senza risultati di rilievo, hanno riguardato le relazioni euro-mediterranee, e che non hanno consentito di creare un vero partenariato: le politiche di vicinato, sempre orientate maggiormente verso i paesi dell’Europa balcanica e orientale e insufficientemente dedicate ai paesi mediterranei; il Processo di Barcellona; l’Unione per il Mediterraneo (UfM). Purtroppo, nello stesso ordine di idee si è tradizionalmente mosso il nostro paese, per mille ragioni spinto dalla politica a valorizzare la propria (di fatto inesistente) vocazione nord e mitteleuropea a detrimento della forte, evidente e potente vocazione mediterranea. Forse anche perché l’Italia è stata messa su dal Piemonte, paese montanaro e nordico; se l’Italia fosse stata unita sotto il Regno delle Due Sicilie, forse le cose sarebbero andate diversamente!
Questa divertente proiezione nella fantastoria ha di fatto messo l’accento sulle profonde e autentiche radici storiche che, nonostante il correre dei secoli, fanno del Mediterraneo una regione da sempre vitale per i propri abitanti, ma anche per le regioni circostanti, e fondamentalmente per tutto il mondo che progressivamente, pur in una visione eurocentrica, è stato gradualmente conosciuto. Una regione dove egiziani e altri popoli, ma soprattutto i greci, hanno costruito lo stesso concetto di civiltà e di mediterraneità che ancora nutriamo, hanno definito i contorni anche concettuali e antropologici di un’area che era già allora allargata, poiché commerciava con paesi asiatici ed europei, e hanno navigato oltre le colonne d’Ercole e nell’Ellesponto. Dove Venezia, Genova, Pisa e Amalfi hanno commerciato e combattuto. Dove nel XVI secolo, pur nel sanguinoso confronto che ne ha caratterizzato i rapporti, europei e ottomani disegnavano il Mediterraneo quale ancora è.
Proprio per i motivi qui appena illustrati, l’Associazione O.Me.G.A. si è data la missione di valorizzare il passato storico del Mediterraneo e le sue connessioni culturali e antropologiche e di esaltarne la forte potenzialità geopolitica autonoma, affinché possa dialogare alla pari con le regioni circonvicine e non essere vista come una propaggine dell’Europa o come un semplice transito tra due continenti.
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I convegni descritti in quest’articolo si sono valsi di eccellenti relatori, che hanno messo le proprie competenze professionali e capacità analitiche al servizio dell’approfondita conoscenza del tema della marittimità e del senso del Mediterraneo: Fabio Caffio, Ammiraglio in quiescenza ed esperto di Diritto Internazionale Marittimo; Cesare Ciocca, ufficiale di Marina in quiescenza, studioso di politiche di sicurezza e difesa nazionale e collettiva; Michele Cosentino, già Ufficiale di Marina, storico, saggista, analista e pubblicista in ambito militare e navale; Alberto Gallinelli, Ufficiale in quiescenza del Corpo delle Capitanerie di Porto; Lavinio Gualdesi, già Ufficiale di Marina, ingegnere, progettista impegnato anche nella tutela dell’ambiente marino; Marco Marcelli, ordinario di Oceanografia biologica presso l’Università della Tuscia; Barbara Marengo, giornalista e scrittrice di temi culturali e antropologici; Nicola Pedde, analista di politica internazionale; Gianpaolo Scarante, già Ambasciatore e docente presso UniPD, Facoltà di Scienze Politiche, responsabile del corso “Teoria e Tecnica della negoziazione internazionale”; Luca Sisto, Direttore Generale di Confitarma; Germana Tappero Merlo, analista di politica internazionale e sicurezza di Medio Oriente e Africa e docente in “Sicurezza Nazionale e Infrastrutture Critiche e Lineamenti di Radicalismo e Terrorismo Islamico”.
L’ Ammiraglio di Squadra Giuseppe Berutti Bergotto, Sottocapo di Stato Maggiore della Marina Militare, e il Dottor Pasquale Ciacciarelli, Assessore alle Politiche Marittime della Regione Lazio, hanno apportato ai dibattiti validissimi contributi e hanno recato il saluto rispettivamente della Marina Militare e della Regione Lazio. I dibattiti sono stati coordinati e moderati dall’Ambasciatore in quiescenza Mario Boffo.