Fabrizio Uliana fa i conti con la realtà, utilizzando lo strumento contemporaneo per antonomasia, il cellulare e la sua pervasiva capacità di ripresa.
Tutti lo usiamo per farci foto-testimonianza, semplici appunti visivi che velocemente condensano un ricordo, un fatto transitorio, il cibo nel piatto.
Ma se provassimo a spingerci ai limiti delle sue capacità, forzandole, laddove gli algoritmi e le tecniche di ripresa ancora non ristabiliscono una visione macchino-centrica atta a uniformare e rendere riconoscibile il reale, cosa succederebbe?
Fabrizio Uliana, si è spinto lì, dove una Venezia resa cinetica, deformata se si vuole, ma sicuramente inedita ci pone dei nuovi interrogativi di rappresentazione.
Rende visibile la rottura dello spazio per come lo conosciamo, sovvertendo l’ordine geometrico euclideo. Scegliendo di rappresentare Venezia, sfida la nostra percezione consolidata, dando forza agli aspetti di fragilità della città e alle problematiche legate alla gestione delle acque. Mettendo di conseguenza in soffitta il concetto di macchina prospettica, perché l’intersettore di Leon Battista Alberti di cui parla nel suo trattato del 1436, non è più lo strumento che definisce il punto di vista dal quale far scaturire la composizione: ora il punto di vista è mobile e raccoglie lo spazio modificandolo in funzione dello spostamento del punto di ripresa.
Ecco la rivoluzione in atto della tecnologia, Fabrizio Uliana ne coglie la porta ancora aperta, dove lo sguardo dell’artista riesce a plasmare e mettere a suo servizio il rappresentabile, rendendolo sincrono alla finalità di riscoprire una Venezia alternativa e predittiva in molti casi del proprio futuro.
Se questa formula ci turba e ci porta in praterie dello sguardo inusuali, significa che ha raggiunto pienamente la volontà dell’artista che non si deve accontentare di rappresentare il consueto, il retorico sublime che una città come Venezia incarna, ma spingerci dove non abbiamo pensato di poter vedere.
Giacomo Leopardi nello Zibaldone (“Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura”), affermava:
All’uomo sensibile e immaginoso, che viva, come io sono vissuto gran tempo, sentendo di continuo ed immaginando, il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà cogli occhi una torre, una campagna; udrà cogli orecchi un suono d’una campana; e nel tempo stesso coll’immaginazione vedrà un’altra torre, un’altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obbietti sta tutto il bello e il piacevole delle cose. Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione (30 novembre 1a Domenica dell’Avvento).
Penso infine che lo sguardo della mente sia notevolmente importante, specialmente per i fotografi che devono ingaggiare con la “realtà” un confronto che non potrà mai esaurirsi.
Questa è la capacità primaria di un artista che per statuto non può essere passivo, che costantemente deve farsi attraversare dalle personali percezioni sensoriali certo, che poi però deve trasformare in nuova materia di riflessione e vita.
In copertina Chiesa di San Trovaso – sestiere Dorsoduro; © Fabrizio Uliana 2023