«Sono venuto qui per assicurarvi una cosa, che vinceremo e la nostra sarà una vittoria totale. Quello che sta accadendo non è uno scontro di civiltà, ma tra barbarie e civiltà, tra coloro che glorificano la morte e coloro che glorificano la vita. Per far trionfare le forze della civiltà, Usa e Israele devono stare insieme». Queste allucinanti affermazioni, pronunciate dal premier israeliano Benjamin Netanyahu al Congresso americano il 24 luglio 2024, mi sono risuonate più volte durante un viaggio in Siria promosso dall’organizzazione “Amici del Medio Oriente”. Terra speciale il Medio Oriente: oltre un terzo dell’umanità segue le intuizioni religiose nate in questa regione. La fede ebraica, quella cristiana e quella islamica sono germogliate qui. Ripercorrendo la storia di Mesopotamia, Egitto, Siria, Turchia, Iran, Giordania e Palestina, si entra in contatto con le nostre radici e con quelle di buona parte del mondo. Qui sono stati celebrati i primi sette concili ecumenici della Chiesa, si è sviluppato il monachesimo che attraverso Benedetto da Norcia è poi germinato anche in Occidente. Oggi la regione è una delle aree cruciali per le strategie geopolitiche mondiali, poiché attira brame e interessi da parte delle grandi potenze e delle loro sfere di influenza.
Nel cuore di una convivenza devastata dall’odio
La Siria ne sta facendo le spese in modo emblematico e drammatico. Il viaggio, svoltosi dal 4 al 13 agosto 2024, ci fa entrare in una terra martoriata da una guerra civile molto sanguinosa scoppiata nel 2011, che ha dilaniato tante vite alimentando una spirale di odio minando le convivenze pacifiche tra etnie e comunità religiose. Con il titolo “La speranza del ritorno. Dieci anni di guerra, fra violenze, distruzione e vite sospese” Caritas Italiana ha pubblicato un Dossier sui civili in fuga. Sono circa 13 mln di persone: 7mln sono rifugiati in Turchia, Giordania, Libano e Germania; gli altri 6mnl sono sfollati interni, concentrati nel nord: famiglie costrette a vivere in campi improvvisati al confine con la Turchia, in condizioni sub-umane; più di 6mln sono bambini. Alla povertà dilagante si somma la gravissima crisi finanziaria che ha colpito il Libano, la crisi economica derivante dalla pandemia di Covid-19, le nefaste conseguenze del terremoto del febbraio 2023 (decine di migliaia i morti accertati). A causa della crisi finanziaria e delle sanzioni internazionali, il costo del paniere di beni per una famiglia media siriana è aumentato di oltre il 200%. Così oltre 12mln di persone non riescono a coprire i bisogni alimentari.
L’arte di uscire verso l’altro
L’apice della nostra ricerca culturale è stato raggiunto in una montagna dove è situato il monastero di Deir Mar Musa l’Abissino. Incastonato tra le montagne deserte del Qalamun, si trova a circa 80 km a nord di Damasco, in direzione di Palmira. Per molti secoli fu abitato da monaci di rito siro-antiocheno, prima di essere abbandonato. Nel 1982 il gesuita Paolo Dall’Oglio trascorre dieci giorni in ritiro spirituale tra le rovine e intuisce che qui potrà realizzare il sogno di una comunità consacrata alla mutua comprensione e collaborazione islamo-cristiana. La comunità al-Khalil di Deir Mar Musa (il patriarca Abramo è amico=khalil di Dio), di rito siro-cattolico, è fatta di monache e monaci provenienti da diverse Chiese e da diversi paesi. Proprio nel dialogo con loro mi sembra di trovare una risposta alle letali affermazioni di Netanyahu riportate all’inizio. Nel libro “Il mio testamento” (2023), il fondatore di cui non si hanno più notizie dal 29 luglio 2013, descrive l’arte di uscire verso l’altro: «La nostra vocazione all’ospitalità è una sfida terribile, e una risposta divina alla questione dell’affollamento e a una domanda, che io chiamo alla domanda dell’altro […] È una dialettica tra avversione e attrazione: sento in me un impulso a chiudermi nella comunità limitata che è in definitiva la comunità delle prima caverna, e questo è morte, la morte culturale umana, una regressione alla pre-civiltà, alla pre-cultura […] Sono andato da Khaled Mashaal, il capo di Hamas […] Sapevo dalle mie letture della rivista “Palestina musulmana” che esiste un legame tra Hamas e i talebani. Allora ho chiesto: voi a Gaza, cosa pensate di quello che fanno i vostri amici del movimento dei talebani a proposito della chiusura delle scuole e della proibizione alle ragazze di studiare? Mashaal ha risposto: “Abbiamo iniziato a dire loro che sono andati troppo oltre” […] Ciò significa che i talebani sono “un altro” rispetto ad Hamas e che all’interno dell’altro (che per noi è l’Islam) c’è un altro e un altro ancora».
La questione degli arabi cristiani
In ballo c’è il ruolo dei cristiani in un’area dove stanno scomparendo. La questione che ha posto Dall’Oglio è la questione degli arabi cristiani: arabi perché parlano arabo, cucinano alla maniera araba, credono come gli altri arabi credenti in Allah. Questo seme arabo è stato fondamentale nell’Ottocento, contribuendo del cosiddetto “risorgimento arabo” (Nahda), sorto per creare stati moderni, basati sul rispetto e la pari cittadinanza di tutti. Questi cristiani a Beirut hanno rinnovato la lingua araba grazie alla traduzione in arabo della Bibbia, l’arabo mediano usato oggi da giornali e televisioni. Padre Dall’Oglio ha offerto la sua testimonianza per dire ai cristiani europei e ai musulmani di Siria che non erano soli. In questo modo la sua presenza è diventata un rischio enorme sia per il regime sia per gli strateghi del terrore, coloro che hanno sposato l’idea dello scontro di civiltà. Il gesuita nel 2012 viene espulso dal regime e l’anno successivo è rapito dall’Isis. Prima della sua espulsione ha fatto la scelta insopportabile di recarsi nei pressi di Homs per concordare la liberazione di alcuni cristiani presi in ostaggio dai jihadisti. Il suo rapimento è collegato poi alla decisione di unirsi ai musulmani di Raqqa (città del nord della Siria insorta contro Assad). Il senso della sua profonda comprensione di quanto accade oggi nell’inferno del Medio Oriente si trova in ciò che ha scritto nella lettera all’inviato dell’ONU, Kofi Annan: «Lei è riuscito a superare lo scoglio dell’opposizione russa a qualunque proposta che comportasse un autentico cambiamento democratico. Mi sembra che una maggioranza di siriani ragioni in termini di equilibrio multipolare e non in quelli d’una nuova guerra fredda. Il popolo siriano è tradizionalmente antimperialista, ma molto di più è a favore della creazione di un polo arabo che ne rappresenti il diffuso desiderio di emancipazione e autodeterminazione. Un sentimento questo che implica l’aspirazione a vera democrazia e riconosciuta dignità delle componenti culturali e religiose di questa società e degli individui umani che la compongono. La dinamica regionale è marcata oggi da una difficoltà reale di convivenza tra popolazioni sciite e sunnite e di concorrenza tra esse. Ciò provoca anche grave disagio alle altre minoranze, innanzitutto quelle cristiane […] lei sa meglio di chiunque altro che il terrorismo internazionale islamista è uno dei mille rivoli della “illegalità-opacità” globale (mercato di droga, armi, organi, individui umani, finanza, materie prime […] Meraviglia che pochissimi giorni siano bastati ad altissimi rappresentanti dell’Onu per accettare la tesi della matrice “qaedista” (Al Quaeda) degli attentati suicidi in Siria. Una volta accettata la tesi che in loco c’è solo un problema d’ordine pubblico, non rimane che aspettarsi il ritiro dei suoi caschi blu disarmati […] Tremila caschi blu e non trecento sono necessari a garantire il rispetto del cessate il fuoco e la protezione della popolazione civile dalla repressione, per consentire una ripresa della vita sociale e economica […]”.
In copertina: AM Hoch, Three Kinds of Mouths, olio su carta montata su tela (1985)