La cancellazione del Sud dall’agenda politica e l’emergere pressante della cosiddetta “autonomia differenziata“, fusione della “questione settentrionale“ e del vero obiettivo della Lega, il separatismo, impongono di ripensare la questione meridionale in termini radicalmente nuovi. La battaglia delle forze democratiche contro l’attuale disegno dell’autonomia differenziata, per essere vincente, deve connettersi all’obiettivo di fondare un nuovo meridionalismo per un “Nuovo Mezzogiorno“, più funzionale e organico all’interesse generale del Paese e delle forze produttive, economiche e sociali del Centro e del Nord Italia. Urge mutare la funzione “storica”, economica, produttiva e sociale del Mezzogiorno: da serbatoio – mercato per l’economia forte del Nord a motore di sviluppo per il Paese. Serve una nuova narrazione del Mezzogiorno e un progetto di caratura nazionale e europea.
Il Mezzogiorno ha grandi opportunità, anche come essenziale cerniera in rapporto ai mutamenti geoeconomici e politici intervenuti nel mondo, all’esigenza di rifondare l’Unione Europea e alle potenzialità di costituire un hub mediterraneo per l’ Africa. È questa la risposta che le forze progressiste hanno il dovere di esprimere in rapporto all’affannosa corsa del governo neofascista a concretizzare l’autonomia differenziata, porta di accesso alla disarticolazione del sistema Italia e del ritorno agli staterelli pre -unitari. Si tratta di un’impegnativa battaglia culturale prima che politica contro la miopia, il provincialismo e egoismo localistico di settori politici e economici del Nord, in particolare del Veneto e della Lombardia. L’autonomia differenziata così come concepita e diventata legge, è infatti la risultante di una visione ultraconservatrice dell’Italia e del suo futuro.
Non è in discussione il dettato costituzionale che prevede forme di autonomia, dalle Regioni ai Comuni, che vanno perseguite e concretizzate con modalità e contenuti che rafforzino l’unità nazionale e il superamento degli squilibri territoriali, mantenendo saldo il principio della centralità dello Stato su materie strategiche per il Paese. La questione è altra: Il governo porta l’Italia a un bivio. Con l’autonomia differenziata “marca Calderoli” perdono insieme il Nord e il Sud: il Sud resta congelato ma, soprattutto , perde l’Italia che diventa più piccola e marginale in Europa e nel mondo.
Non si tratta solo di sconfiggere, nel Paese e nel Parlamento, una legge iniqua e liquidatoria dell’idea stessa di Italia unita e destinata a lacerare il tessuto sociale, acutizzando il gap tra Nord e Sud. Per la sinistra, la posta in gioco è netta: un progetto strategico di caratura nazionale ed europea che chiuda la lunga stagione dei compromessi politici di basso profilo, del piccolo cabotaggio “governista”. Occorre dire con nettezza che oggi è in discussione l’Italia futura, per lo svuotamento e latitanza della sinistra “storica”. I diversi governi “acquerello”, dalle tante sfumate tinte, hanno aperto la porta all’attacco della Lega e di una destra che ha perduto anche idealità e visione dell’unità nazionale. La destra salviniana e neofascista, infatti, azzera anche il significato ideale e valoriale del termine “patriota“, lasciando il posto ai “ patrioti scorporati“ delle regioni secessioniste.
ll Sud non può essere solo destinatario legittimo di interventi per la parità dei LEP, come prescrive la Costituzione, e nemmeno servono risorse assistenziali o nuovi strumenti di intervento straordinario, del tipo della CASMEZ. C’è un primo sacrosanto problema perequativo che riguarda i nodi essenziali delle condizioni e della qualità della vita dei cittadini meridionali. Di “straordinario” deve esserci l’assunzione del Mezzogiorno come “priorità” nazionale. Prima ancora che esigenza fondamentale di parte del Paese, si tratta di un obiettivo primario per il “sistema Italia “.
Un Paese duale è senza futuro, perché la globalizzazione è sfida tra territori a tutti i livelli. L’ Italia perderà terreno se il Nord è connesso con l’Europa e con il mondo mentre il Sud non diventa asse di politiche multipolari verso l’Est e baricentro per il Mediterraneo. È una linea obbligata anche per ricondurre nei termini essenziali l’autonomia dei territori per e nella unità nazionale.
La questione Meridionale nasce molto prima dell’unità nazionale. Il fascismo ha peggiorato la condizione complessiva del Sud: le lotte dei braccianti e lo slogan “Pane e Lavoro“ esprimevano la realtà di una condizione di vita disperata. I grandi proprietari terrieri e i notabili locali costituivano la classe dirigente, dai podestà alle amministrazioni pubbliche. Era una condizione sociale, esistenziale e politica che induceva F.S. Nitti a affermare che “nello Stato preunitario, i Beni Ecclesiastici e demaniali al Sud erano superiori a tutti gli altri Stati della penisola. Quando i capitali si sono raggruppati al Nord è stato possibile tentare la trasformazione industriale. Il movimento protezionista ha fatto il resto. Due terzi dell’Italia hanno funzionato come mercato di consumo. La Lombardia, la Liguria, il Piemonte anche tra breve, potranno non ricordare le ragioni della loro prosperità “. Nitti scrive ai primi del Novecento. Il “tra breve“ per il Sud è diventato senza tempo. Analoghe le condizioni della scuola. Alla sterminata povertà il fascismo aveva connesso la deprivazione culturale, privando il Sud di una decisiva leva per innescare processi di cambiamento.
La documentata analisi di Rossella del Prete, La scuola italiana tra permanenze e mutazioni (sec XIX –XXI ), denuncia: “L’Italia post-unitaria registrava la media del 78% di analfabeti con punte altissime nel Mezzogiorno, 91% in Sardegna, 90% Calabria e Sicilia, 95% per Campania e Basilicata . La fame di lavoro coincideva con la fame esistenziale: per i figli dei poveri la scuola era un lusso impossibile, con i “carusi” costretti all’evasione per lavorare nelle miniere e nelle campagne. Altro fattore determinante, la grettezza della borghesia ricca e latifondista propensa alla rendita più che agli investimenti nella industria di base e manifatturiera.
Costituiscono i prodromi della divaricazione Nord – Sud fossilizzata dalle politiche della rcostruzione: poche industrie di base sconnesse dalla rete delle piccole e medie industrie; interventi “straordinari“ con la Cassa per il Mezzogiorno; la lunga stagione dei “Commissari Straordinari “ che costituì anche serio ostacolo al radicamento di una classe dirigente non subalterna al potere centrale ma capace di progettare e promuovere lo sviluppo. Si afferma una netta scelta politica: tutte le cosiddette “leggi speciali“ per il Sud hanno l’obiettivo di contrastare le emergenze, consolidando per questa via gli equilibri esistenti, senza spostare i rapporti produttivi e economici tra le grandi aree del Paese. È negli anni ’70/80 che con limiti e distorsioni, il Mezzogiorno è rappresentato ed ha un relativo peso politico nelle istituzioni alimentando, una stagione culturale e politica di impegni e di speranze .
Una svolta per il Mezzogiorno e per l’Italia poteva scaturire dall’asse Berlinguer – Moro e dai contenuti politici e sociali del compromesso storico. L’assassinio di Moro e la successiva scomparsa di Berlinguer, attento e sensibile ai problemi del Sud, costituirono di fatto l’ultima trincea di un pensiero culturale, politico e sociale diretto al superamento del gap Nord-Sud in una visione unitaria dello sviluppo della società nazionale .
Allo stato, la rappresentanza politica del Sud è irrilevante. Si accetta una posizione residuale che affossa il Mezzogiorno aprendo spazi alla pretesa arrogante del governo di barattare l‘autonomia differenziata con il premierato.
Il Sud ha pagato un prezzo alto alla subalternità culturale e politica di questi ultimi decenni sia verso i diversi governi, anche di centro-sinistra, sia soprattutto per la diserzione di una sinistra senza identità dalla lotta culturale, politica e sociale contro l’imperversare del berlusconismo prima, dell’antipolitica populistica dopo e infine del governismo. Il governo Meloni è la conseguenza dell’insussistenza della sinistra; raccoglie e capitalizza errori e ambiguità della sinistra anche sull’autonomia differenziata. In questi anni il Sud, orfano di una qualificata rappresentanza politica e istituzionale, è stato il “convitato di pietra“ sulla scena nazionale. Sono tanti i governi negli ultimi decenni ,condivisi anche dalla sinistra, che hanno aperto la porta a Meloni, Salvini & Co. Ultimo, a tempo scaduto, Gentiloni.
Il Sud invece è una grande opportunità. Una straordinaria risorsa per la crescita di tutto il Paese, per risorse umane e territoriali, saperi e strutture culturali, scientifiche e di ricerca. È possibile interagire su diverse assi, prima di tutto facendo convergere obiettivi, risorse e strategie politiche su un asse strutturale che connetta le politiche nazionali con le politiche dell’U.E. Si tratta di un primo essenziale raccordo per affrontare i nodi della nuova questione meridionale che si concretizza nella esigenza di dare risposte positive ai diritti negati a tanta parte dei cittadini meridionali. La “nuova questione” investe sia le condizioni di partenza per i cittadini sia la qualità della vita e sollecita e rende attuale la battaglia meridionalistica: è nel differenziale che sussiste tra Nord e Sud nella dotazione di infrastrutture materiali e immateriali ; della quantità e soprattutto della qualità dei servizi ai cittadini, a partire dalla scuola, la sanità, il welfare, i Trasporti; nel livello di vivibilità, comprese le aspettative di vita, che significa pari livello di civiltà e diritto paritario di cittadinanza.
È questo il nodo culturale, politico, sociale da aggredire. Sussistono differenze, nelle città come nelle campagne e nelle aree interne che, sia pure in condizioni radicalmente mutate, ripropongono problemi antichi e insoluti. Cambia la scala, cambiano le condizioni generali del Sud, ma la “Questione” c’è e permane.
In copertina: AM Hoch, Young Boat, specchi colorati (dettaglio), 2015