Dal 2019, l’Unione Europea ha avviato un percorso di transizione ecologica, noto come European Green Deal, che mira a trasformare l’economia continentale per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni inquinanti entro il 2050. Questo traguardo ha assunto rilevanza giuridica vincolante con l’entrata in vigore della Legge europea sul clima, imponendo agli Stati membri, tra cui l’Italia, di contribuire attivamente all’azzeramento delle emissioni nette: l’obiettivo della neutralità climatica è diventato, pertanto, obbligatorio sia per le istituzioni dell’Unione Europea, che per quelle degli Stati membri, ai sensi della Legge europea sul clima. È un traguardo che deve essere necessariamente raggiunto di qui al 2050.
Occorre domandarsi quale sia stata l’influenza che queste iniziative europee hanno avuto sulle recenti modifiche alla Costituzione italiana, in particolare con la riforma degli artt. 9 e 41 Cost., approvata con la legge costituzionale n. 1 del 2022.
La Costituzione italiana del 1948 non aveva affrontato direttamente le questioni ambientali. All’epoca dell’Assemblea Costituente non era presente una diffusa sensibilità ecologica. L’unico riferimento rilevante nella Costituzione era la tutela del paesaggio, sancita dall’art. 9 Cost., che nella sua formulazione originaria stabiliva che la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». In questo contesto, la Corte Costituzionale aveva ampliato il concetto di «paesaggio», utilizzandolo come base per avviare una riflessione più ampia sulla protezione dell’ambiente, paragonando questa parola a una sineddoche poetica: una parte, il paesaggio, per indicare il tutto, l’ambiente. Tuttavia, tale interpretazione restava vaga e insufficiente a garantire una tutela piena dell’ambiente.
La riforma costituzionale del 2022 ha modificato in modo significativo sia l’art. 9 Cost., sia l’art. 41 Cost.. L’art. 9 Cost. ora stabilisce esplicitamente che la Repubblica ha il dovere di proteggere l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, introducendo nuovi obblighi per le istituzioni pubbliche. L’art. 41 Cost., che regola la libertà economica, impone nuovi limiti alle imprese: è espressamente vietato dall’art. 41 comma 2 Cost. svolgere attività economiche che siano dannose per l’ambiente. Inoltre, l’art. 41 comma 3 Cost. prevede che le istituzioni pubbliche possano indirizzare l’attività economica verso finalità ambientali.
Esiste un dibattito tra gli studiosi del diritto costituzionale sulla reale portata di questa riforma. Alcuni giuristi ritengono che la modifica non sia stata particolarmente innovativa, poiché la Corte Costituzionale aveva già tracciato un percorso interpretativo per la tutela dell’ambiente, con sentenze precedenti, tra cui quelle relative al diritto di vivere in un ambiente salubre, come nella giurisprudenza relativa al caso Ilva Taranto. Altri sostengono invece che la riforma abbia rappresentato un cambiamento di paradigma, segnando una svolta significativa rispetto al passato.
Per comprendere appieno l’importanza della riforma, è necessario interrogarsi su come oggi la Costituzione italiana definisca il concetto di ambiente. È possibile concepire l’ambiente come un’entità che ruota attorno all’uomo. È possibile anche sposare una diversa idea d’ambiente, come sistema complesso di equilibri ecologici, in cui l’uomo è solo una delle componenti, al pari delle specie animali, vegetali e degli spazi naturali. La Costituzione pone l’accento sulla tutela della biodiversità e degli animali, riconoscendo l’interdipendenza tra tutti gli elementi della natura: per questa ragione, interpretando l’art. 9 Cost., è possibile superare un approccio eccessivamente antropocentrico, per sposarne uno in cui è la natura al centro del sistema.
Va inoltre evidenziato che l’art. 9 Cost. non introduce espressamente un “diritto all’ambiente”, in capo a ciascuna persona, ma piuttosto un “dovere verso l’ambiente”, che grava sulle istituzioni pubbliche a tutti i livelli, dallo Stato alle Regioni e ai Comuni. Questa visione è coerente con la Legge europea sul clima e con l’idea che ogni Stato abbia l’obbligo di contribuire alla riduzione delle emissioni inquinanti.
Il compito delle istituzioni pubbliche, secondo la Costituzione, non deve essere limitato alla protezione e alla salvaguardia dell’ambiente, ma include anche la sua rigenerazione. Le istituzioni devono attivarsi per riparare i danni ambientali, intervenendo, ad esempio, nella bonifica delle aree contaminate. La Legge europea sul clima orienta chiaramente questa funzione, con l’obiettivo della decarbonizzazione. Le istituzioni devono agire per eliminare le fonti di inquinamento, come dimostra la progressiva eliminazione delle auto a benzina sancita dal regolamento europeo n. 851 del 2023, e per potenziare i meccanismi naturali di assorbimento della CO2, come il ripristino e l’espansione delle aree forestali.
Infine, la riforma dell’art. 41 Cost. evidenzia il rapporto tra economia e ambiente, riconoscendo che l’attuale modello economico è una delle principali cause della degradazione ambientale. Se finora si è parlato principalmente di green economy, ossia un’economia regolata per evitare danni all’ambiente, la riforma apre la strada alla blue economy, un modello economico completamente ripensato. Non si tratta solo di limitare i danni dovuti al sistema produttivo, ma di ridefinire l’economia nel suo complesso, con la possibilità di eliminare o riprogettare prodotti pericolosi, come le auto a combustione interna.
In conclusione, la riforma degli articoli 9 e 41 Cost. non è solo un adeguamento formale, ma un cambiamento significativo, che riflette una nuova visione ecologica della Costituzione e ridefinisce il ruolo delle istituzioni pubbliche nella tutela e nella promozione dell’ambiente.