Intervista a Michele Guerra, a cura di Serena Zaninetta

Michele Guerra, classe 1982, Sindaco di Parma.

Viste le sue precedenti esperienze come assessore alla cultura e professore in Unipr, quale significato attribuisce oggi al termine “cultura”?

La cultura l’ho sempre definita con una parola che so essere molto forte, per me la cultura è sinonimo di libertà. Dove c’è cultura, c’è l’opportunità di essere liberi. È fondamentale promuoverla e investirvi, perché se la cultura si indebolisce, si rattrappisce anche il dialogo e la crescita personale e sociale ne risentono e va in crisi il concetto stesso di libertà. In definitiva, ritengo che la cultura debba occupare un posto centrale in qualsiasi progetto politico.

Quali insegnamenti ha appreso dalla cultura che intende trasferire all’ambito politico, sia a livello nazionale che europeo, e all’ambito economico?

Credo fermamente che i valori culturali debbano essere prioritari in ogni schieramento e progetto politico. Mi pare ci sia nel campo del centro-sinistra una maggiore consapevolezza da questo punto di vista, con la cultura che è considerata essenziale per la promozione sociale e l’emancipazione dei cittadini. È importante pensare sempre l’orizzonte culturale e le sue manifestazioni non come intrattenimento (un aspetto che, si badi bene, non mi scandalizza affatto, anzi, nella vita mi occupo di cinema, che è l’industria dell’entertainment per eccellenza), ma con gli stessi paradigmi con cui si pensano la sanità, l’istruzione o lo sviluppo economico dei territori, dal momento che la cultura è uno dei grandi vettori economici e di benessere psico-fisico del nostro Paese. Ripetiamo, un po’ stancamente, che siamo seduti su un patrimonio unico nel mondo, eppure lo valorizziamo meno di quanto dovremmo, lo diamo per scontato e per dovuto, poi quando siamo all’estero ci ripetiamo che dovremmo prendere esempio da altri Paesi per come curano e pesano economicamente ciò che di culturale hanno. Da questo punto di vista non è secondario il tema dei lavoratori del settore culturale. Sono molto professionalizzati e, in alcuni casi, anche molto titolati per svolgere funzioni diverse nel campo culturale, ma continuiamo a considerarli persone che più che lavorare si divertono, qualcuno fa anche fatica a capirne il professionismo e sono poco pagati. Ne conosco molto che lavorano all’estero, qualcuno anche tra i miei laureati o tra dottori di ricerca che scelgono le professioni della cultura e non solo l’accademia come sbocco. Libertà e sviluppo della persona: questa è la cultura per ognuno di noi. Ma se non ci lavorano professionisti veri, queste due condizioni cadono. Cade il benessere di una società e cade una parte di economia. Come un ospedale senza medici o una scuola senza insegnanti (due pilastri che peraltro si stanno mettendo, in questi anni, a serissimo rischio).

Come intende tutelare le iniziative culturali locali che non attirano grande attenzione mediatica ma che sono vitali per la tradizione di Parma?

Parma ha una lunga tradizione di investimenti nella cultura, con un bilancio annuale molto ampio. È importante che questi fondi vengano distribuiti con intelligenza tra le diverse iniziative culturali, perché molta vita della città passa per la varietà di questa offerta. Nel corso degli anni, anche precedenti al mio mandato, il Comune ha saputo rispondere adeguatamente alle richieste di un pubblico che, proprio grazie ai meccanismi instaurati nel tempo, è diventato sempre più esigente. A chi pensa che la spesa in cultura possa essere sacrificabile, rispondo che, forse, lì per lì potrebbe anche sembrare che non accada quasi nulla nella nostra quotidianità, ma gradualmente avvertiremmo che una luce si è spenta, che una voce tace e per recuperare occorrerebbero anni. I tagli in cultura, come nell’istruzione o nella ricerca, li recuperi in tempi lunghissimi e lasciano ferite non medicabili, di cui ti accorgi tardi. Per questo bisogna mantenere costanti e regolari gli investimenti. A Parma abbiamo realtà che assorbono molte risorse, penso su tutte a Fondazione Teatro Regio, ma più in generale al sistema teatrale e musicale cittadino, ma ciò non ci impedisce di sviluppare una proposta culturale centrifuga che vada nei quartieri, attivi piccoli centri culturali, animi le biblioteche di quartiere e altri spazi che mostrano che la cultura è pervasiva e inclusiva ovunque e non solo in quei luoghi che hanno una loro tradizione riconosciuta.

E riguardo all’utilizzo dei fondi europei per il nostro settore culturale, quale è la sua opinione?

I programmi europei esistono, ma per il nostro Paese risultano poco sfruttati, se ci compariamo ad altri sistemi. Dobbiamo interrogarci sul motivo per cui l’Italia è indietro nella capacità di attingere ai fondi per la cultura e si torna dove eravamo prima, al tema delle professioni. Perché all’estero esistono uffici che si occupano solo ed esclusivamente di questo, con personale strutturato, ottimo sostegno centrale, mentre da noi spesso sono gli artisti stessi che devono inventarsi fundraisers per le loro compagnie o i loro ensemble? E’ una sfida che dobbiamo raccogliere soprattutto in un momento come questo in cui i bilanci degli enti sono fortemente ridotti e la cultura rischia di pagare il prezzo più alto in termini di tagli.

Ha affrontato alcune critiche riguardo all’elitismo del suo approccio e delle sue scelte. Cosa risponde a chi ritiene la sua visione troppo accademica?

Che vengo dal mondo della cultura popolare, dal cinema e dalla televisione, forse c’è un po’ di confusione sul concetto di élite (altra parola su cui occorrerebbe un buon pamphlet…). Il mondo dell’università e della ricerca è decisivo per fare avanzare la conoscenza, ma le politiche culturali sono un costante esercizio di messa in forma del sapere per poterlo portare verso la cittadinanza. Ora con una pièce teatrale, ora con un concerto, oppure con un film, con la presentazione di un libro, con uno spettacolo circense o con un convegno, con una manifestazione sportiva o con un festival, sia esso il Festival Verdi o il Festival della Serie A, per dire due cose che facciamo a Parma. Dove sia l’elitismo o la separazione tra l’accademia e la vita vera non saprei dire. Pensare separate le sfere della conoscenza è la vera assenza di visione. Spesso chi parla di elitismo ha anche poco rispetto dei cittadini che, invece, quando coinvolti su cose anche più complesse e di livello, si presentano numerosi e attenti perché sono curiosi, intelligenti e pensanti e non analfabeti ai quali va proposta per forza di cose un contenuto di livello non troppo alto.

Ritiene che l’elezione di Elly Schlein come segretario del Partito Democratico sia stata un’opportunità colta o persa per il rilancio del tema culturale in ambito politico?

Conosco bene Elly da questo punto di vista, avendoci collaborato quando ero Assessore e avendo con lei organizzato a Parma occasioni culturali importanti soprattutto per i giovani. È venuta lei a riaprire Parma Capitale Italiana della Cultura dopo lo stop della pandemia. Questi sono temi cui tiene sinceramente e, per usare un avverbio che ha utilizzato in altro senso di recente, “testardamente”. Ma ciò vale per la gran parte dei politici e degli amministratori del centrosinistra. Credo che la cultura sia più in pericolo in questo momento e non tanto per le peripezie che hanno portato alle dimissioni del Ministro, quanto per una idea distorta di egemonia culturale in ansia da rincorsa.

Come si sposa la sua visione della cultura con la comunicazione politica attuale, che spesso appare semplificata e superficiale?

Qualcuno potrebbe forse sorprendersi, ma la comunicazione politica è diventata molto sofisticata e molto curata. Non c’è quasi figura politica, dai livelli locali a quelli nazionali e internazionali, che non abbia attorno a sé consulenti che ne curano comunicazione e immagine secondo strategie piuttosto studiate (anche quando appaiono rozze e moralmente o eticamente riprovevoli). Certo, il problema vero è la brevità. Qualche giorno fa un gruppo di ragazzi mi ha intervistato dicendomi che lavorano in una redazione social il cui obiettivo è parlare dei temi politici più importanti del momento in 30 secondi…

Come diceva il buon Marshall McLuhan “il medium è il messaggio”. E oggi viviamo una situazione in cui purtroppo la semplificazione è l’abbreviazione sono il tema dei temi.

Sul finire degli anni ’60 Zavattini diceva che il cinema rispetto ad altre forme del sapere era avvantaggiato perché offriva la mediazione più corta, era immediatamente comprensibile ad un numero elevato di persone e lo poteva fare, nella sua utopia, quasi chiunque, munendosi di una cinepresa e scendendo per le strade. Oggi una questione analoga la pongono i social. Il cinema nel ‘900 è stato il vero contenitore dei desideri, dei sogni, delle passioni e della rabbia di un popolo, oggi lo sono i social, con la differenza fondamentale della possibilità di interazione. La famosa e criticatissima frase di Umberto Eco sugli imbecilli al bar è sempre valida, ma per essere ancora più severi si potrebbe dire che oltre al diritto di parola si è maturato anche un diritto di scrittura, che ha più permanenza ancora, finanche quando è gravemente sgrammaticato. Non è questione di essere Umberto Eco o analfabeti, è questione di pensare entro che tipo di costruzione discorsiva si muove il nostro modo di pensare e di agire.

La fiction, ne sono sempre più convinto, rimane lo strumento migliore per comprendere i meccanismi che abbiamo intorno. Se sei un esperto di meccanismi finzionali diciamo che sei per certi versi avvantaggiato.

L'autore

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Serena Zaninetta

Direttore Operativo e HR Director, dopo la laurea in Giurisprudenza e un master in gestione aziendale, inizia a lavorare nel 2000 in ambito risorse umane. Dal 2005 ricopre incarichi di crescente responsabilità nella consulenza organizzativa e HR in contesti nazionali e multinazionali. Dopo diversi corsi di specializzazione e master, inseguendo la passione per le nuove generazioni, l’innovazione e l’ambiente, torna a frequentare l’università conseguendo la Laurea in Comunicazione e Media nel 2022 per iscriversi immediatamente alla specialistica in Giornalismo Ambientale.
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