Nel 2025, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, che celebrerà il suo ottantesimo anniversario, si trova ad affrontare critiche crescenti. Il Consiglio di Sicurezza è regolarmente accusato di paralisi di fronte alle crisi internazionali e alcune operazioni di mantenimento della pace sono considerate inefficaci. La presunta parzialità dei cinque membri permanenti, in particolare nella gestione delle minacce alla sicurezza, è un argomento ricorrente di dibattito. L’inadeguata rappresentanza, in particolare dei Paesi del Sud, nei principali organi delle Nazioni Unite solleva interrogativi, mettendo in discussione l’universalità e l’inclusività dell’organizzazione. Sebbene l’ambasciatrice statunitense all’ONU si sia recentemente espressa a favore dell’assegnazione all’Africa di due seggi permanenti nel Consiglio di Sicurezza, la sostenibilità di questa proposta rimane incerta sotto la presidenza Trump. Ma è la questione del diritto di veto a rimanere la più delicata: la sua riforma, sebbene regolarmente menzionata, non è ancora all’ordine del giorno dell’istituzione.
Consapevole dell’impasse in cui si trovano le Nazioni Unite, create nel 1945 in un contesto geopolitico radicalmente diverso, il Segretario Generale dell’ONU António Guterres ha proposto, con il sostegno dell’Assemblea Generale, l’organizzazione di un ‘Vertice dell’Avvenire’. Questo vertice, tenutosi a New York il 22 e 23 settembre, mirava a prevedere un sistema più resiliente e meno dipendente dalle sole grandi potenze. Ma questo evento deve essere considerato un fallimento, vista la sua incapacità di portare a un modo di operare più adatto alle realtà del mondo di oggi? Non proprio, se riuscirà a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di un vero dialogo diplomatico…
In un documento preparatorio, António Guterres si è espresso, con misurata ambizione e acuto senso del realismo, a favore di “istituzioni multilaterali più efficaci, orientate più verso le persone che le procedure burocratiche, per rispondere meglio alle sfide globali che i popoli e il pianeta devono affrontare. Si trattava di riformare le istituzioni dell’ONU in modo che riflettessero finalmente le dinamiche geopolitiche odierne.
Create nel 1945 a seguito della Seconda Guerra Mondiale, le Nazioni Unite furono inizialmente un’iniziativa delle potenze vincitrici. L’organizzazione è stata costruita sul modello degli Stati-nazione, un concetto che, sebbene appropriato nel XX secolo – ancora! – oggi appare obsoleto e addirittura responsabile di alcuni dei nazionalismi più pericolosi. Dalla sua fondazione, la scena mondiale è cambiata radicalmente e stanno emergendo nuovi fora di dialogo, lontani dalle strutture tradizionali dominate dalle grandi potenze, come dimostra l’ascesa dei BRICS e delle organizzazioni regionali e tematiche.
La formidabile ascesa della Cina, seguita dall’India e dal Brasile, per non parlare di altre potenze emergenti come l’Iran, la Turchia, il Sudafrica e molte altre, sta cambiando profondamente l’equilibrio di potere globale. Le grandi potenze cosiddette “occidentali”, spesso chiuse in una visione semplicistica del mondo che fa loro comodo – che contrappone le democrazie ai regimi autoritari, il “bene” al “male”, o il mondo occidentale al “Sud globale” – si trovano ora a confrontarsi, inconsapevolmente, con la realtà di un mondo veramente multipolare. Queste dinamiche in continua evoluzione non possono più essere ignorate.
L’ordine mondiale rimesso in discussione
I Paesi del “Sud globale”, e non solo i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, Egitto, Indonesia, Iran, Emirati) rappresentano oggi una quota significativa, se non dominante, della popolazione e dell’economia mondiale. Queste nazioni non si limitano più a osservare l’ordine mondiale, ma lo sfidano. E lungi dall’opporsi alle potenze occidentali per opposizione ideologica, contrariamente a quanto spesso affermano queste ultime, la loro ambizione è soprattutto quella di partecipare pienamente al dialogo globale, senza esclusività. Escludere coloro con cui non si è d’accordo non fa che limitare l’efficacia degli scambi. Questa logica di dialogo inclusivo è stata al centro della cooperazione internazionale durante la Guerra Fredda, nonostante le tensioni. Le diplomazie occidentali sembrano aver pericolosamente dimenticato, soprattutto in Ucraina, i fondamenti stessi della diplomazia, che gli “altri” non hanno mancato di sottolineare.
Per questo motivo, il recente Vertice dell’Avvenire ha sollevato la necessità di un cambiamento – persino di una rivoluzione – del sistema internazionale, per renderlo davvero multilaterale e meno dipendente dalle sole grandi potenze storiche.
Un esempio lampante è il modo in cui opera la Corte penale internazionale (CPI). Nonostante i segnali di cambiamento, la Corte penale internazionale è spesso percepita come parziale, soprattutto per quanto riguarda l’Africa. I numerosi interventi militari occidentali, in Iraq, Libia, Palestina, Libano o Repubblica Democratica del Congo, sono raramente condannati, il che alimenta una sensazione di doppio standard. Questa percezione, che mina la legittimità della CPI, solleva l’urgente questione di riformare il suo funzionamento per garantire una giustizia veramente imparziale.
L’irresistibile ascesa al potere della Cina rappresenta un altro importante punto di svolta. Un tempo emarginata, la Cina è ora una superpotenza economica e militare. La sua ascesa sensazionale ha sconvolto l’equilibrio di potere all’interno delle Nazioni Unite, in particolare con il suo ingresso nel Consiglio di Sicurezza.
Un altro protagonista di questa dinamica è l’India, che da colonia britannica nel 1945 è diventata il Paese più popoloso del mondo, la terza economia mondiale e una potenza nucleare. In questo contesto, la sua esclusione dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza è chiaramente un’anomalia geopolitica. Altre potenze emergenti come il Brasile, l’Iran, la Turchia, il Sudafrica e molte altre in Africa stanno cambiando profondamente l’equilibrio di potere globale.
La Russia, dopo il crollo dell’URSS e le riforme caotiche e irresponsabili dell’era Eltsin, è riuscita a riconquistare il posto che le spetta nel Consiglio di Sicurezza. Questo ritorno fa parte di un’evoluzione geopolitica post-Guerra Fredda, segnata da una sorprendente ripresa dell’economia russa e da un aumento del ruolo negli affari mondiali, anche nel bel mezzo della guerra con la NATO e nonostante le sanzioni unilaterali dell’Occidente. Questa rinascita dell’influenza russa – la cui realtà è contestata dagli analisti occidentali – sta ulteriormente sconvolgendo l’equilibrio geopolitico internazionale. Di fronte a queste trasformazioni, l’ONU non potrebbe, a rischio di scomparire gradualmente, non interrogarsi sulla sua capacità di adattamento.
In questo nuovo gioco geopolitico, i membri della NATO – un’organizzazione creata per far fronte a un’URSS che non esiste più, e che tuttavia è ancora, e più che mai, guidata dagli Stati Uniti d’America – stanno tentando nuove strade. Propongono di aggiungere Giappone e Germania come membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, il che non sarebbe illegittimo e potrebbe rafforzare l’influenza occidentale. Questa proposta, da sola, non risolverebbe ovviamente il problema della rappresentanza dei Paesi emergenti e in via di sviluppo.
Territori e partecipazione dei cittadini
Consapevole che il dialogo non può essere limitato ai soli Stati, António Guterres, che ha istituito un Comitato composto da personalità che rappresentano i governi locali e regionali, ha sottolineato che “quasi il 65% degli obiettivi di sviluppo sostenibile non può essere raggiunto senza la partecipazione dei governi locali e regionali, evidenziando così l’importanza dei territori e delle loro popolazioni nel processo multilaterale”.
Le autorità locali, riunite sotto l’egida di reti come l’ULCG (United Ciities and Local Governments), stanno svolgendo un ruolo crescente sulla scena internazionale. La loro vicinanza ai cittadini e il loro radicamento nelle realtà locali permettono loro di identificare meglio i bisogni e di trovare soluzioni adeguate. Questa vicinanza è ancora poco valorizzata nell’arena multilaterale, dove i governi dominano ampiamente i processi decisionali.
Al centro di una sorta di governance multilivello, una delle idee emergenti sarebbe quella di introdurre una sorta di Assemblea parlamentare delle Nazioni Unite, che coesisterebbe con l’attuale Assemblea generale. Questo organo potrebbe rappresentare direttamente i parlamentari e i cittadini su scala globale, rafforzando così la legittimità democratica dell’organizzazione. Tuttavia, ciò solleva interrogativi sul rischio di confusione istituzionale, in particolare in un panorama già caratterizzato da una proliferazione di organi ausliari. Questa proliferazione rende ancora più urgente semplificare e chiarire i ruoli delle varie entità.
Al termine del vertice di New York, i partecipanti hanno adottato il “Patto per l’avvenire”, una dichiarazione sulle generazioni future e un patto digitale globale, annunciando di aver gettato le basi per un rinnovamento del multilateralismo. Ma come sempre, il successo del Vertice dipenderà dall’effettiva attuazione degli impegni presi e dalla partecipazione inclusiva di tutti gli attori interessati. L’incapacità dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di definire modalità chiare per la revisione della composizione e del funzionamento delle strutture multilaterali, come il Consiglio di Sicurezza, riflette una tensione profonda nel sistema multilaterale. Questo può essere visto come un fallimento di fronte all’emergere di altri attori del Sud globale, che chiedono un maggiore riconoscimento negli organismi internazionali.
Il fallimento del Vertice evidenzia i limiti dell’attuale sistema multilaterale e potrebbe rappresentare un punto di svolta nell’affermazione dei BRICS come attori chiave del nuovo ordine mondiale. Potrebbe questo gruppo, con la sua espansione e le sue risorse economiche, portare a un multilateralismo alternativo, più in linea con le aspirazioni dei Paesi del Sud globale e più in sintonia con le emergenti dinamiche multipolari?
In ogni caso, il rifiuto o l’incapacità di riformare le istituzioni multilaterali rafforza l’idea che esse siano obsolete. È questo che ha spinto i BRICS a sviluppare i propri sistemi paralleli (nuova banca di sviluppo, accordi di sicurezza regionali). Sebbene sia principalmente un forum per la cooperazione economica, il Gruppo BRICS potrebbe capitalizzare questa frustrazione posizionandosi come un’alternativa credibile all’attuale ordine multilaterale. La sua espansione con l’aggiunta di nuovi membri segna un chiaro desiderio di avere più peso sulla scena internazionale.
Attualmente alla testa dei BRICS, Lula, il Presidente del Brasile, mette l’accento sul ruolo deiBRICS in materia di sviluppo economico. Creata dai BRICS, la New Development Bank (NDB) con l’adozione di un sistema di scambio bancario alternativo a quello “swift”, offre già ai paesi in via di sviluppo un’alternativa alle istituzioni tradizionali come FMI e Banca Mondiale, spesso criticati per le loro condizionalità.
L’ultimo vertice dei BRICS si è tenuto dal 22 al 24 ottobre a Kazan, in Russia, con la partecipazione di numerosi capi di Stato e la notevole presenza del Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, desideroso di evitare la frammentazione delle Nazioni Unite. Il fatto che questo incontro sia stato organizzato, su iniziativa di Vladimir Putin, nella capitale del Tatarstan, una regione della Russia prevalentemente popolata dalla minoranza musulmana dei Tartari, è chiaramente significativo, soprattutto in Medio Oriente. Come avrebbe potuto Antonio Guterres esimersi dal lanciare un appello per la pace a Gaza, in Libano, in Ucraina e in Sudan, simbolo del rafforzamento della presenza dei BRICS sulla scena diplomatica in collaborazione con le Nazioni Unite?
Lo status di Stato membro è attualmente concesso a novePaesi con interessi talvolta divergenti, come Cina e India, ma non più di quanto non lo sia all’interno delle Nazioni Unite e forse anche del G20. Al modello BRICS si sono aggiunti nel 2024 quattro nuovi Paesi e sta diventando sempre più attraente, con circa trenta richieste di adesione quest’anno, tra cui l’Arabia Saudita (non ancora confermata) e la Turchia, che è anche membro della NATO. Persino il Presidente francese Emmanuel Macron aveva sperato, senza successo, di essere invitato a Kazan come osservatore, a dimostrazione del crescente potere del Gruppo…
Il Ballo degli Imperi?
Ma possiamo davvero parlare dell’emergere di un nuovo mutilateralismo? Alcuni analisti, come il geopolitico francese Jacques Soppelsa, ritengono che in realtà, anche all’interno delle Nazioni Unite e dei BRICS, stiamo assistendo all’emergere di un mondo multipolare dominato, e persino co-pilotato, dalle grandi potenze: Stati Uniti, Cina, Russia, India e persino Turchia, con l’Unione Europea che segue le orme di Washington e non ha più lo stesso peso, a meno di un sorprendente e auspicato risveglio. Con ciascuna potenza che cerca di rafforzare la propria influenza sullo sfondo del declino dell’ordine unipolare post-Guerra Fredda, potrebbe essere il ritorno del… “Ballo degli Imperi”?