Il Pd che vorremmo è un partito che afferma con forza alcuni valori e obiettivi semplici, qualificanti e chiaramente dichiarati. E vorremmo che li manifestasse senza reticenze ed esitazioni. Vorremmo un partito che non sia ecumenico, che non cerchi di inseguire qualsiasi obiettivo e voglia scendere in campo per qualsiasi battaglia. Soprattutto, deve smettere, il PD, di essere un partito “codista”, sempre incline a seguire e inseguire gli altri. Non deve continuare ad essere il partito che si avventura in una pessima riforma costituzionale, come quella che nel 2001 ha sfigurato il Titolo V della Costituzione al solo fine inseguire la Lega sulla strada del c.d. federalismo; che poi ha sostenuto la folle legge “Tremaglia”, che ha concesso il voto ai c.d. italiani all’estero; il partito che ha concorso a tagliare il numero dei parlamentari, inseguendo il populismo dei 5 stelle; il partito colpevole di aver dato il colpo di grazia – con il Governo Letta – al finanziamento pubblico dei partiti, complice di una campagna denigratoria del pilastro irrinunciabile del sistema democratico. Non è questo il partito che vorremmo.

Vorremmo un partito trainante, che sappia scegliere gli obiettivi caratterizzanti la sua azione politica e li persegua con coerenza e decisione. Gli obiettivi devono riguardare i grandi temi sociali che qualificano una politica democratica e di sinistra. Ecco quali.

Il PD deve essere chiaro nel sostenere l’eguaglianza sociale, come promette la Costituzione del 1948, che vuole che le diseguaglianze sociali siano combattute con ogni mezzo e superate con uno sforzo che coinvolga ogni articolazione della Repubblica. Invece in Italia le differenze si stanno sempre più accentuando, si accetta senza vergogna il c.d. lavoro povero, cioè lo sfruttamento aperto e dichiarato dei lavoratori. Il salario minimo non può essere un obiettivo finale, ma solo il punto di partenza imprescindibile di un forte impegno a favore dell’eguaglianza sociale.

La lotta contro le diseguaglianze deve essere un chiaro obiettivo prioritario del PD, con tutte le conseguenze che ne derivano. Il primo punto è la condizione degli stranieri immigrati. La legge Bossi-Fini va eliminata e sostituita da una disciplina che si preoccupi dell’inserimento degli stranieri nella vita produttiva. L’Italia non è un paese che deve difendersi dall’invasione: da tempo è in crisi demografica e presenta zone sempre più vaste di desertificazione sociale; ha bisogno di nuove forze produttive. Bisogna riconoscere agli immigrati il diritto di offrirsi come forza lavoro e ai loro figli che hanno frequentato le scuole italiane di ottenere la cittadinanza e uscire definitivamente dall’emarginazione sociale e dalla discriminazione.

Ma la lotta contro le diseguaglianze deve portare in primo piano la questione della tassazione. Il PD deve avere il coraggio di dire che pagare le tasse è il dovere e il motivo di orgoglio di tutti coloro che vivono in Italia; e che la progressività della tassazione è ciò che esprime la solidarietà sociale e permette il sostegno dello Stato sociale. Questo è un punto qualificante del manifesto del partito, dove deve essere messo in evidenza che la progressività delle tasse e ciò che sostiene lo stato sociale, cioè la redistribuzione della ricchezza a favore dei ceti sociali meno fortunati. Su questo il PD deve essere nettissimo, rigettando con forza chi dal Governo si permette di definire le tasse il “pizzo di Stato” e promette ad alcuni ceti “amici” la diminuzione della tassazione “iniqua” o la realizzazione della “tassa piatta”, cioè non progressiva. Bisognerebbe avere il coraggio di dichiararsi invece favorevoli all’introduzione di una tassa che gravi sui grandi patrimoni delle persone e delle società e sulle rendite speculative: e nettamente contrari a ogni forma di esenzione o trattamento privilegiato di determinati redditi, che sottrae il loro regime fiscale a quello generale che si applica ai rediti di lavoro dipendente e alle pensioni. Combattere i privilegi fiscali e rafforzare le prestazioni dello stato sociale sono facce della stessa moneta. Anche la tassa di successione deve essere riportata alla regola di una forte progressività perché essa è la premessa, quasi il simbolo del superamento delle diseguaglianze e la condizione che legittima qualsiasi discorso che riguardi la promozione del merito: promuovere il merito è giusto, ma non può prescindere dall’eguaglianza dei punti di partenza nella competizione sociale. Senza l’eguaglianza dei punti di partenza qualsiasi discorso sul merito diventa intollerabile; e senza una tassazione progressiva i punti di partenza non si possono avvicinare. È chiaro che la lotta all’evasione fiscale deve essere un punto programmatico del PD: ma essa è possibile se il sistema fiscale viene riportato all’unità superando ogni forma di tassazione separate, forfettaria, di favore. Evasione, elusione, privilegi sono una vergogna inaccettabile. L’Italia non è un paese povero, ma è il paese dei favoritismi e della compiacenza: è il paese con il più alto risparmio privato e il più alto debito pubblico, e – naturalmente – con la più alta evasione fiscale. Questo è un cerchio che va spezzato, e questo deve essere l’obiettivo del PD.

Le tasse sono lo strumento fondamentale in uno stato democratico, perché consentono di sostenere le politiche pubbliche essenziali per combattere le diseguaglianze: la scuola e i servizi sociali.

Il PD deve essere nettissimo nell’indicare la centralità di queste politiche pubbliche. Deve essere netto nel sostenere la sanità pubblica. Non è tollerabile che gli stessi enti regionali abbiano tentennamenti su questo punto: per esempio accettando di sottoscrivere accordi sindacali per il proprio personale per “regalare” ai propri dipendenti un’assicurazione sanitaria privata (nella sola Emilia Romagna ciò comporta che in due anni 4,3 milioni di euro siano destinati a questo “regalo”, togliendoli al miglioramento delle prestazioni sanitarie pubbliche). Il PD deve essere netto su questo punto: tutto il denaro possibile va investito nelle prestazioni pubbliche e non sono ammissibili “regali” alla sanità privata. Sostenere la scuola pubblica e la sanità pubblica deve passare anche per una seria rivalutazione economica dei compensi riconosciuti al personale sanitario e della scuola. La centralità della scuola pubblica è un obiettivo prioritario, ma non può essere disgiunta dalla rivalutazione del ruolo degli insegnanti su cui il PD deve chiedere sia fatto un serio investimento, anche ma non solo economico.

Il PD deve pretendere che il governo e tutti i poteri pubblici siano attenti al modo in cui i servizi sociali sono assicurati nelle diverse realtà del paese. Si parla molto e forse troppo di autonomia differenziata, ma non si va oltre alle chiacchiere quando si parla dell’eguaglianza dei cittadini nel diritto di ricevere le prestazioni pubbliche. Vi sono differenze già oggi che non devono più essere tollerate. I diritti fondamentali devono essere garantiti in misura eguale a tutti i cittadini italiani, senza differenziazioni geografiche. La Costituzione assegna al Governo il compito di vigilare sul modo in cui i diritti vengono assicurati. Il PD che vorremmo deve essere chiaro su questo punto: non è l’autonomia a salire al primo posto, ma sono i diritti delle persone; l’autonomia può essere uno strumento utile a migliorare le prestazioni pubbliche (ed in fatti in alcune regioni i diritti sociali sono particolarmente ben gestiti), ma ciò che conta è che a tutti siano garantiti gli stessi diritti. La rottura nel paese non è causata dall’autonomia ma dall’inerzia del governo che guarda solo ai dati finanziari e non alla qualità delle prestazioni pubbliche. Rovesciare questa situazione deve essere un punto qualificante della politica del PD.

Con lo stesso sguardo, che privilegia il benessere dei cittadini, il PD dovrebbe guardare all’Europa. L’Unione europea è una realtà irrinunciabile e irreversibile, ma il modo in cui oggi funziona non è accettabile. L’Europa non può essere messa al servizio del mercato e il mercato non può essere concepito come l’arena in cui le grandi imprese si fanno concorrenza a discapito dei lavoratori e dell’ambiente. Lavoratori e ambiente non sono merci il cui sfruttamento può essere consentito alle imprese. Un’Europa che continua ad essere sempre più sensibile alle esigenze delle imprese e sorda a quelle dei lavoratori non è l’Europa che può mantenere il consenso del PD. La ricchezza dell’Europa si è rafforzata a scapito delle condizioni di vita dei cittadini di molte parti del continente. Il PD deve essere chiaro nell’indicare la direzione in cui l’Europa deve muoversi: dev’essere l’Europa dei lavoratori e del rafforzamento della politiche sociali. Le recenti e in certa misura equivoche manifestazioni degli agricoltori in tutta Europa indicano con chiarezza il punto: le politiche europee per l’agricoltura o per l’ambiente devono essere promosse avendo presente non le agende delle grandi imprese ma le esigenze dei piccoli produttori, dei lavoratori e dei cittadini.

La politica del PD deve smettere di essere la rincorsa dei modi in cui gli avversari dettano e alimentano l’agenda politica. Non è con un tweet, con uno slogan antifascista o un messaggio critico nei confronti delle gaffe di avversari di poco livello. Non è inseguendo l’avversario nel colpire l’attenzione degli elettori che si può realizzare il grande partito che noi vorremmo: Il PD dovrebbe preoccuparsi di parlare a quel 50% di elettori che diserta il voto, che pensa che i partiti siano tutti eguali, e in parte ha ragione: parlano delle stesse cose, si scambiano slogan e parole d‘ordine e tacciono sui grandi temi, che sono assenti dalla comunicazione dei partiti. Il PD deve ritornare a trattarli come meritano, ponendoli in testa all’agenda politica. Con chiarezza, con attenzione, indicando gli obiettivi fondamentali e i valori che ne ispirano l’azione. Senza esitazioni, senza ma, senza divagazioni, con tutta la forza che deve caratterizzare un pensiero politico.

L'autore

Roberto Bin

Roberto Bin è già ordinario di Diritto Costituzionale all'Università di Ferrara.