Antefatto

A dicembre 2024 si è finalmente conclusa la travagliata fase della composizione della Commissione dell’Unione Europea con l’assegnazione delle deleghe e delle vicepresidenze. All’Italia è andata una vicepresidenza esecutiva con deleghe alla coesione oltre che alle riforme. A tale ruolo è stato chiamato Raffaele Fitto il ministro pugliese del governo italiano già  plenipotenziario per il PNRR (Piano nazionale ripresa e resilienza) ed il  Sud. Al suo posto un nuovo titolare di estrazione settentrionale, Tommaso Foti, al quale tuttavia, per un soprassalto di buon senso o, più  verosimilmente, in attesa di future sistemazioni, è stata sottratta la delega al Sud trattenuta a Palazzo Chigi.

Al di là del contrappasso dal sapore sardonico, o se volete grottesco, l’arrivo  di una nuova guida  al vertice del ministero per il Sud, non muterà le sorti del Mezzogiorno.

 

I molti perché del declino del Sud

Il Sud, come del resto l’Italia, è strutturalmente refrattario alla ribellione  e quindi rassegnato al galleggiamento o, peggio, come nel tempo attuale, al suo inarrestabile declino.

Naturale, più  che ovvio, chiedersi perché.

Perché a partite dall’unità  nazionale il Sud è una sorta di colonia, con territorio e popolo a servizio  del Paese, ovverosia del Nord che lo sovrasta?

Perché, passate le glorie antiche dei popoli autoctoni, della Magna Graecia e di Roma,  dei Re, dei  popoli stranieri e di Federico che in esso trovarono la loro patria, è, da troppo tempo, assuefatto alle malefatte contro di esso perpetrate, oltre che alla sua decadenza?

Perché  è, udite, antropologicamente incapace di capire il  meglio e di evolversi in direzione di esso?

Perché é governato da una classe dirigente minuscola e piccina, dedita, in contrasto con la grandezza passata dei suoi uomini e donne,  a proteggere  privilegi che sconfinano  nelle caste e nelle cosche piuttosto che perseguire il bene comune?

Perché i migliori se ne vanno?

Perché, perché…

Saranno mille i perché, probabilmente. Anzi certamente.

Al netto della ridicola deriva razzista nascosta nella ventilata deficienza antropologica, un pizzico di verità c’è in tutti quei perché.

Eppure, né  singolarmente né  considerati  tutti insieme, essi compongono una riposta esaustiva.

É vero che il Sud è da sempre colonia. A scanso di equivoci lo era anche al tempo dei Borbone e del Regno di Napoli o delle Due Sicilie. Lo era quando Ferdinando Secondo inaugurò la ferrovia Napoli-Portici,  quando  celebrava la potenza industriale di Pietrarsa e Mongiana, di  San Leucio e delle fabbriche di ceramica che, ben prima dei tempi moderni,  avevano prodotto il  miracolo del chiostro di Santa  Chiara, di San Gregorio armeno, di  Caltagirone e di mille altri posti.

Già  allora il latifondo e gli agrari la facevano da padroni  e braccianti e contadini puzzavano di fame oltre che di fatica maledetta e povertà senza rimedio.

É vero anche che il Sud è abituato alle malefatte.

I Briganti ci provarono a ribellarsi contro coloro che affamavano il popolo, re Borbone e Garibaldi compresi, tutti fedifraghi e sempre schierati contro poveri e disgraziati. Ci provarono pure gli Anarchici,  senza esito anch’essi. E da qualche parte spuntò il malaffare. Furbi e prepotenti,  patriarchi e delinquenti incalliti trovarono terreno fertile ed in assenza dello Stato pensarono di dettare le loro leggi, le leggi delle “famiglie”. L’autorità non c’era e la  gente non aveva punti di riferimento a parte  il parroco. A volte e non sempre.

Lombroso, bontà sua, che di professione faceva lo scienziato in quel di Torino, riteneva che la colpa dell’arretratezza del popolo meridionale, andasse attribuita, dritta dritta, alla  conformazione  della loro scatola cranica. Il cranio squilibrato, le mascelle troppo sporgenti e la fronte troppo bassa  riducevano lo  spazio per un naturale dispiegarsi del cervello e di conseguenza la loro capacità di seguire “virtute e canoscenza” risultava assai limitata. Ci costruì pure un museo con tanto di foto dei briganti rinominati delinquenti per naturale predisposizione, o per vocazione,  ed espose una teoria di crani meridionali bella lunga ed articolata per quanti ne volete.

Quel museo è ancora aperto, ed a ragione,  se un ministro della Repubblica, Nello Musumeci, meridionale e siciliano in aggiunta (povera Patria a detta di Battiato già interprete e cantautore anch’egli siciliano) ha, in sede di presentazione del rapporto Svimez 2024, affermato che le ragioni del sottosviluppo meridionale sono, certo che si, lo si voglia o no, anche di natura antropologica, per la gioia degli epigoni  del defunto professor Lombroso che, ultimamente, era stato un po’ dimenticato persino dai suoi estimatori padani.

Altri  argomentano che la colpa è dell’attuale classe dirigente che da quarant’anni a questa parte governa il  Sud, incapace, corrotta e dedita esclusivamente a coltivare i suoi interessi e privilegi, dicono.

 

A Sud non ci si ribella. Si va via o si blandisce il potere.

Sta di fatto che da queste parti non ci si ribella. Al massimo si parte, si va via. Un tempo in Argentina, negli USA o in Australia, adesso nelle metropoli nordiche o nelle megalopoli cinesi, arabe o americane.

Certo, sarebbe utile e necessario per capire, andare alla decapitazione ad opera di Ferdinando Quarto di quel glorioso drappello di giovani e generosi rivoluzionari  che nel 1799 provarono a cambiare la storia a Mezzogiorno con la Repubblica Napoletana abbattuta poi con inaudita ferocia (considerata l’assenza di un qualsiasi esercito regolare o meno dall’altra parte) dall’ammiraglio inglese Nelson, lo stesso che qualche anno dopo avrebbe fermato Napoleone a  Trafalgar e che  consegnò  quei valorosi alla vendetta di Ferdinando per la soddisfazione e la tranquillità sua e dei regnanti della vecchia Europa.

Dopo quell’eccidio che estirpò nella società  meridionale più avanzata ogni aspirazione al cambiamento, nessuna rivoluzione o evoluzione riformatrice attecchì a Sud (come peraltro a Nord dove il progresso fu legato alle scelte del regno prima e del fascismo dopo più che alla capacità  autoctona di una qualche rivoluzione borghese o industriale per la quale bisognerà attendere il dopoguerra). Nobili e plebei avevano  introiettato il convincimento che per sopravvivere, contrariamente a quanto succedeva nella vicina e cugina Francia, bisognava blandire il potere, prenderlo di lato al massimo e mai affrontarlo di petto. E lo fecero. Tutti, a cominciare da generali,  duchi, conti e baroni che aprirono le porte a  Garibaldi fregandosene del popolo che continuò a puzzare di fame nonostante le promesse di distribuzione delle terre. Promesse reiterate all’avvento  della Repubblica Italiana e rimaste incompiute mentre l’Europa provvide, a distanza di qualche decennio, a dare il colpo di grazia all’agricoltura familiare e mediterranea ed ai mestieri a quella connessi. Alla fine i “plebei”, ossia il popolo minuto ed abbandonato a sé stesso o al malaffare, non potendo o non sapendo ribellarsi, si rassegnò a raccogliere le briciole che il potere lasciava cadere sotto forma di bonus, pacchi  dono di fine anno, tolleranza  al lavoro  nero, cecità più o meno complice e più o meno parziale all’evasione fiscale e robe simili.

Il cosiddetto ceto  medio? Quello composto da professoresse e professori, insegnanti e intellettuali, professionisti, impiegati, quadri e dirigenti che un tempo, ancora trent’anni fa mica secoli,  erano la colonna vertebrale del paese?

Schiacciato verso il basso sino a convincerlo di scomparire anche dalla competizione elettorale.

 

Un futuro da hub energetico

Adesso siamo all’epilogo. All’atto finale della eliminazione del Sud come soggetto sociale, economico, geografico, politico addirittura. Il suo ruolo futuro? L’auspicata  trasformazione in hub energetico d’Europa previa desertificazione a mezzo processi continui e crescenti di spopolamento e diaspora demografica, ovviamente. Tutto condito con spruzzate neo lombrosiane visto che il Sud non è in grado di badare a sé e  nemmeno  di esprimere un ministro autoctono.

L’ex plenipotenziario dell’attuale governo per il Sud, la Coesione, il PNRR ha fatto le valige per Bruxelles ed al suo posto arriverà qualcun altro, un padano magari. Il che  non è di per sé un danno o un affronto, Pasquale Saraceno, il più strenuo assertore dello sviluppo del Sud era Lombardo. Per non parlare di Adriano Olivetti da Ivrea. Ad averne di gente simile. Il guaio è  che viviamo al tempo dell’incapacità o disinteresse totale con l’aggravante dello scollamento generale che spinge il settentrione a badare a sé stesso a spese del Meridione in ossequio all’assunto che in questo paese non c’è posto per uno sviluppo equilibrato ed omogeneo che si traduca in una più  forte spinta alla crescita complessiva. E dunque un meridionale o un padano, o nessuno al ministero del Mezzogiorno non fa molta differenza. Non la farà  nemmeno  la Presidente del  Consiglio nel caso trattenesse definitivamente per sé  le deleghe incaricandosi personalmente di illuminare la Nazione  sulle ragioni del sottosviluppo a Sud e magari eliminarle.

In molti dicono che il Sud non decolla anche perché i migliori se ne vanno. Circa centomila all’anno, tra laureati e diplomati, tutti giovani, forti eppure formati. Fanno venti miliardi di euro all’anno risparmiati dalle contrade settentrionali dove i ragazzi e le ragazze meridionali vanno ad inquadrarsi senza speranza di ritorno. Sommati ai sessanta miliardi annui rastrellati a danno del Sud con il meccanismo antico e ben collaudato della spesa storica, fanno davvero un bel bottino.

Ma la colpa è  del Sud, ci mancherebbe altro. Perché il Sud non sa  tenerseli i suoi ragazzi e le sue ragazze e non sa badare a sé stesso…deficit antropologico appunto, sussurrano taluni … ma quale  “deficit antropologico” se le ragazze ed i  ragazzi meridionali fate a gara a prenderveli,  tutti?…

Il  razzismo lombrosiano vale solo per i genitori e non per i figli? Chiedere lumi al compassato ministro siciliano  ed al neo ministro padano o no o alla Signora Presidente  del Consiglio anche, tutti chiamati al timone di un Sud senza risorse e politiche come una barca senza motore, vela ed equipaggio, per ricevere qualche lume. Magari anche al neo commissario europeo, pugliese doc trasmigrato a Bruxelles dove ricopre il ruolo di vicepresidente della Commissione Europea alla Coesione, mica uno scherzo.

 

Il sottosviluppo come scelta.

Non è  che ci sarà un’altra  risposta  ai mille perché del sottosviluppo del Sud?

Il dubbio è lecito, anzi obbligato. Questa storia del sud straccione per sua colpa o per volere divino non sta in piedi.

Bisogna capire meglio.

E allora per non andare in confusione nel rispondere a tale esorbitante questione ho ripreso in mano le vicende di Enrico Mattei e del già  ricordato Adriano Olivetti. Tutti e due profeti del diritto del Sud e dei Sud affacciati sul Mediterraneo ad essere protagonisti della loro storia e della loro felicità. Con successo sino al giorno del loro violento defenestramento.

Entrambi furono stroncati da chi predicava  lo sviluppo abbarbicato a Settentrione, tra l’Atlantico ed il Mar del Nord.

Ammainate le bandiere di Mattei ed Olivetti, partì l’emigrazione dal Sud, tutta protesa ad alimentare il miracolo economico che arrivava dall’Oceano, fecondava l’Europa centro settentrionale  e si fermava a  ridosso della Padania.

Non contento mi  sono riletto  i manuali di Smith e Ricardo che avevano definito i parametri  del mercato.  Quello in cui produttori e consumatori fissavano i prezzi e le quantità sulla base della reciproca convenienza e necessità e mi son reso conto che quel mercato era stato distrutto a beneficio della speculazione finanziaria che aveva sostituito con le borse, il consumismo e la  produzione infinita,  il vecchio mercato di Smith e Ricardo. Non contava più la soddisfazione dei consumatori e dei produttori ma il potere dei  padroni/azionisti del mondo saldamente ancorati tra l’Oceano Atlantico ed il Pacifico con l’enclave araba,  raggiunti, nel frattempo, dagli oligarchi che avevano preso a  dominare il celeste impero e la tundra russa  con buona pace di Lenin,  Mao Tze e del vecchio comunismo.

Ed ho ripreso Marx e Keynes ed il nostro Federico Caffè che avevano  teorizzato, in differenti modi certo, la presenza dello Stato in  economia e mi son reso conto  che il governo  era diventato una specie di re travicello manovrato dai padroni/ azionisti dell’economia iper capitalistica deviata.

Così mi convinsi che il vero perché del sottosviluppo del Sud è nel Paradigma economico-consumistico-finanziario che regge il Mondo e che riduce tutti i sud, e quindi anche il Sud italico,  al ruolo di polmoni/ riserve/ lande (chiamatele come volete) a disposizione del Nord, di tutti i Nord.

Ci fu un tempo in cui in Italia lo Stato produceva Energia, Acciaio, Automobili ed anche Panettoni, conserve e legumi in barattoli (assurdamente,  secondo un professore  che faceva il presidente del Consiglio a quell’epoca e, dopo, anche il presidente della Commissione europea), navi, telecomunicazioni e ricerca avanzata in settori strategici.

Lo Stato controllava la moneta ed anche il debito pubblico, alimentava l’economia ed interveniva nella produzione e calmierava il mercato, quello di Smith e Ricardo più  o meno, e sosteneva l’industria e i lavoratori, tutti, compresi quelli del ceto medio, alimentando da protagonista il processo di  produzione della ricchezza per il benessere e  la felicità  della collettività.

Adesso quello stesso Stato costruisce esclusivamente manovre finanziarie, ogni benedetto anno, per far fronte ai diktat del mercato plutocratico e finanziario che minaccia il fallimento e compra tutto il comprabile mentre da questa parte si vende tutto quel che ha un valore, persino la sanità  ed i trasporti, le poste e le telecomunicazioni e l’energia per pagare gli interessi sul debito che in una spirale perversa quanto infinita ingrassano la speculazione ed impoveriscono le nazioni ed i popoli.

 

L’ipoteca ipercapitalista

L’obiettivo dell’azione governativa non è più lo sviluppo del Paese ma la soddisfazione della bramosia di quanti dominano il mondo dalle sale ovattate  ed insonorizzate dei consigli di amministrazione della iper finanza speculativa che, dal canto loro, non hanno più  bisogno di nascondersi nei luoghi segreti come ai tempi del Club Bilderberg  ed anzi si offrono con dovizia di ragionamenti al proscenio mondiale dalle montagne svizzere di Davos imponendo palesemente la propria volontà  agli Stati i cui governanti, democraticamente eletti per adesso, sono, ahimè, divenuti loro succubi o servitori.

Tutto in ossequio all’assioma che i padroni del mondo non hanno nulla a che fare con l’ONU e le  altre Istituzioni  sovranazionali, siedono in consigli di amministrazione collocati in santuari a diretto contatto con il cielo e dettano regole e disposizioni agli Stati ridotti, questi, a meri esecutori delle decisioni  di quelli mentre i governanti sono divenuti dei burattini intercambiabili nelle loro mani. É l’evoluzione dell’iper capitalismo che ormai non si nasconde nemmeno più, esercita il governo del mondo e programma la costruzione delle città spaziali su cui trasmigrare o far trasmigrare,  non si sa ancora bene.

Dunque non vale inseguire i mille perché alla base del sottosviluppo del Sud.

 

Il Mediterraneo fulcro di un nuovo paradigma

La questione fondamentale che tutti quei perché assomma in sé é la prevaricazione dell’attuale paradigma di potere.

Di conseguenza va cambiato quel paradigma, se si vuole rompere la perversa spirale del sottosviluppo meridionale.

Tale cambiamento è peraltro nell’interesse non solo del Sud ma dell’intera Nazione perché è  destinata a diventare Sud anch’essa, tutta, senza distinzione tra Settentrione e Meridione. La crisi della locomotiva tedesca, a sua volta indotta dalle ormai incontrastabili scelte industriali cinesi e  che si trascina dietro i vagoni padani che si auto celebravano quali altrettante locomotive, ne è una riprova.

É anche nell’interesse dell’Europa che ha bisogno di nuovi equilibri e di nuovi paradigmi per salvaguardare il suo futuro e magari anche la pace tra i popoli e, finalmente, partecipare da protagonista allo sviluppo del Mondo.

In questa prospettiva le speranze di tutti,  Sud, Italia, Europa e Mondo intero, viaggiano con le prospettive del Mediterraneo.

Solo un Mediterraneo restituito ai popoli che da sempre lo abitano, in Europa, Africa, Vicino e Medio Oriente e che da sempre han coltivato il senso del limite e della misura quali fondamenta della loro azione rispettosa della dimensione sacra della vita al di là dell’approccio laico o religiono, potrà restituire l’equilibrio alla Terra ed all’Umanità che la abita ed, in definitiva all’italico Mezzogiorno bistrattato e colpevolizzato oltre ogni demerito.

Prima se ne renderanno  conto l’Italia, l’Europa intera e quel che resta di razionale sul pianeta  meglio sarà per tutti.

Solo allora anche il Mezzogiorno  finirà di essere un problema, una zavorra, una colonia, una carta di scambio, per tornare ad essere la Patria di  Mattei e  dí Olivetti ( che era di Ivrea), delle ragazze e ragazzi costretti a partire e di quanti sono rimasti a custodire la memoria dei padri.

 

Il Sud tra bulimia nordica e strabismo nazionale. Le velleità indipendentiste.

Dunque il sottosviluppo del Sud non è esclusiva responsabilità del nord  affetto da patologica bulimia che tutto attrae a sé oltre che responsabilità del Paese intero affetto, a sua volta,  da strabismo conclamato, come affermano i pochi studi residui  ed i commenti degli opinionisti. C’è dell’altro.

Vediamo di capirci qualcosa. Impresa difficile vista la nebbia che offusca i radar della conoscenza.

Da vent’anni in qua, più o meno, si è  prodotta una drastica rarefazione di analisi e di  prese di posizione su quella che rimane,  comunque, l’inarrestabile deriva del Sud che scivola verso una sorta di baratro, esso pure inevitabile. Buon ultimo ( e pressoché unico) è rimasto  il rapporto Svimez ad illuminare il triste destino del Sud.

Gli editoriali  si susseguono a ritmo sostenuto sui giornali meridionali mentre, timide,  provano a prender  forma, ai margini del corpo sociale,  iniziative di protesta e addirittura qualche conato di ribellismo autonomista o indipendentista.

La tesi é che il Mezzogiorno con i suoi 21/22 milioni di abitanti teorici, visto che molti di essi dimorano  altrove, ed i suoi oltre 120.000 chilometri quadrati di superficie, in gran parte abbandonata e oggetto del desiderio governativo di farci crescere foreste di pale eoliche e sterminati campi di specchi fotovoltaici a dispetto di tutto, biodiversità, dieta mediterranea patrimonio dell’UNESCO, Bellezza, è sufficientemente esteso da badare a sé stesso.

Potendo disporre del suo destino, insomma, il Mezzogiorno italico sarebbe in grado di attrarre investimenti in abbondanza, tali da riequilibrare per esempio il rapporto tra forze di lavoro e popolazione, attualmente fortemente squilibrato visto che lavora 1 meridionale su  3 se non su 4  contro un  rapporto fisiologico  di 2-3 su quattro, ossia la metà se non proprio i due terzi. Inoltre, e  finalmente, il Mezzogiorno potrebbe disporre dei finanziamenti europei per intero senza dover sottostare alla tagliola dei taglieggiatori governativi e settentrionali.

Magari scatterà, si lascia trapelare non credendoci, anche l’orgoglio di restare e non andar via in quei 100.000 giovani che ogni anno partono e la classe dirigente per miracolo diventerà adeguata al ruolo e preoccupata del bene comune.

Anche i diritti conculcati per incanto verranno finalmente assicurati. Dalla scuola, alla sanità, ai trasporti, alle comunicazioni, alle banche, vendute e comprate, chiuse e sottratte, perché  no.

Ovviamente il quadro prospettato é solo teorico, anzi frutto di immaginazione. Un esercizio inutile indotto dalla  frustrazione da sottosviluppo e/o da sfruttamento che può ispirare un residuo senso di appartenenza laddove si proclama che un  Mezzogiorno indipendente entrerebbe, quando a dimensioni, nella classifica dei primi dieci paesi europei e roba di questo genere. Perché resta davvero difficile ipotizzare una soluzione che, per incanto, risolva tutti i problemi fino, per esempio, alla realizzazione del Corridoio logistico  Stoccolma-Berlino-Palermo-Augusta-Suez magari con il beneplacito di Rotterdam-Amburgo-Anversa che, motu proprio, rinunceranno al ruolo di snodo logistico tra Mediterraneo, Europa e Atlantico  e si voteranno, se non al suicidio, al proprio drastico ridimensionamento.

 

Il comune destino destino di Nord e Sud

Il guaio è che al di là  di ogni consolante esercizio, la deriva verso il depauperamento é collettiva e riguarda  il  Sud come il Nord. Cambia solo l’intensità dei fenomeni, ovviamente a discapito del Mezzogiorno.

Perché quanto ai diritti, la negazione di essi, in uno con il trionfo del cinismo qualunquistico condito di esacerbante relativismo proteso alla salvezza individuale, è comune al Sud ed al Nord. Essa infatti è conseguenza di un modello di sviluppo che tende ad esautorare completamente, sino ad escluderla, la presenza dello Stato e delle Istituzioni pubbliche dal perimetro dell’apparato finanziario-economico-produttivo e dei servizi.

Il ritiro dello Stato dalle Banche, dalle Poste e dalle telecomunicazioni, dalle tecnologie digitali ed avanzate, dalla Scuola, dalla Sanità e dalla farmaceutica, dai trasporti aerei e ferroviari, dalla cantieristica, dall’industria e dalla logistica in ossequio all’imperativo dell’efficienza finalizzata al profitto é stata teorizzata e imposta, sino alle estreme conseguenze, negli ultimi quarant’anni dall’iper capitalismo che ha saputo cambiare la sensibilità di popoli ed individui oltre che conquistare l’adesione di Stati e governi. Esso infatti ignora e nega il bene comune quale caposaldo del suo impianto di potere, al pari della stessa felicità o benessere collettivo (se felicità sembra troppo), pure affermati dalle Costituzioni come  scopo fondamentale delle nazioni.

Il “Mercato” deviato del  consumismo, divenuto religione esistenziale (consumo dunque esisto) é un  vero e proprio monstrum generato dal medesimo iper capitalismo che ha ascritto a proprio merito anche l’abbattimento delle  frontiere politiche e geografiche oltre che la cancellazione delle ideologie con buona pace dei movimenti e raduni oceanici dei giovani tra gli anni’70 e ‘80 del secolo passato.

Questo “mercato monstrum” non ha  nulla a che fare con il Mercato di Smith, di Ricardo, di Schumpeter e della schiera di economisti che lo hanno codificato e che affidava all’incrocio tra domanda ed offerta l’equilibrio del sistema economico ed all’innovazione la crescita equilibrata in direzione dell’allargamento dei propri confini. Esso al contrario  é dominato ed alimentato dalla speculazione che assegna agli stati ed ai governi un ruolo di meri esecutori, al di là della dimensione della loro superficie o della loro popolazione e della stessa collocazione geografica a Sud o a Nord. La riprova sta nella precarietà che accomuna il pianeta percorso da infinite guerre per il dominio delle materie prime ed il  controllo di popoli e Stati.

L’America, vista con gli occhi di chi subisce  irrimediabilmente quanto inevitabilmente l’impoverimento del proprio salario anche quando politici e iper capitalisti cantano peana di soddisfazione per l’aumento occupazionale o per la crescita, più o meno infinitesima, del PIL, non è dissimile dalla Cina o dall’Europa o, peggio ancora, dalla Russia viste tutte con gli occhi di chi deve arare la vita ogni santo giorno sapendo di doverlo fare scontando l’azione neghittosa se non proprio infingarda e punitiva dei governi.

In America la politica spaziale, fiore all’occhiello di quanti proponevano il sogno verso il futuro come cartina di tornasole della grandezza del Paese, oggi è, in larga misura, nelle mani di un campione dell’iper capitalismo che, altro terribile contrappasso, la gestisce con i fondi dello Stato del quale è addirittura diventato ministro oltre che azionista di riferimento del suo Presidente.

Nella comunista Cina, se vi capita di vivere a Shanghai e volete avere un tetto sulla testa, dovete essere in condizione di sborsare un milione e mezzo di dollari, diversamente dovete arrangiarvi esattamente come succede in tutto il resto del mondo non comunista.

E se in Italia avete bisogno di curarvi dovete armarvi di pazienza e attendere anni o mettere mano al portafoglio o ad una assicurazione, avendone la possibilità. Esattamente come in America mentre la sanità privata predica e vanta efficienza, competitività, buone pratiche ed eccellenze.

Se avete bisogno di lavorare, dovete accettare il rischio di un accidente sempre in agguato e contentarvi di quel che vi danno, ossia poco, davvero poco. E se siete laureati e diplomati o solo giovani vi conviene fare le valige e correre, finché dura, nelle megalopoli o metropoli in riva all’oceano, comunque a Nord dove le cose funzionano meglio, certo, rispetto al Sud ma sempre in un quadro di crescente precarietà (vedi la Germania) in cui la fanno da padroni rendita, profitti e speculazione, tutti intrecciati tra loro a scapito dei redditi dei normali cittadini,  con buona pace di Smith, Ricardo e Schumpeter e del sistema delle piccole e medie imprese un tempo pilastro dell’economia nazionale ed oggi poco più di uno sparuto e malandato drappello.

Agli Stati rimangono i debiti pubblici da gestire distribuendo i pesi fiscali, per far fronte agli interessi ed ai bonus, tra i cittadini-sudditi, distinti tra serie A e serie B o  tra buoni e cattivi, dove i buoni sono quelli che si scaldano al fuoco del potere chiudendo occhi e naso e approfittando di  tutto e di più ed i cattivi sono quelli che devono sottostare ai diktat per mille motivi tra cui quello di non avere le chiavi del proprio stipendio o pensione o banalmente di essere affetti da buoni principi come la responsabilità  sociale e collettiva.

 

L’imperativo di smontare i paradigmi del dominio iper capitalistico

La questione del sottosviluppo del Sud e dell’ incipiente malessere del Nord, più  che al destino baro e maligno, è dunque imputabile al paradigma del sistema economico che non è estraneo ma assai contiguo al paradigma geo politico e che contempla ovunque il dominio del gotha iper capitalista, questo si, assolutamente, di fede internazionalista.

Bisognerà rompere questi paradigmi, rovesciarli, magari provando a modificarli, per esempio restituendo agli Stati il loro ruolo di controllo, e sarebbe già una rivoluzione, ma anche di orientamento, programmazione e gestione strategica dell’apparato economico-produttivo-logistico e dei servizi.

Bisognerà tornare a Marx,  a Keynes, a Galbraith e Federico Caffè ed al ruolo attivo dello Stato  se vogliamo ribaltare la situazione e risolvere la questione Sud, di tutti i Sud che non é dissimile da quella  di tutti i nord, guardati dalla parte delle persone, se fa paura evocare i popoli. Non servono i pannicelli caldi o le scorciatoie dietro cui anche i moderni economisti ed il comitato per i premi Nobel si trincerano.

In caso contrario non resta che continuare ad esercitare il ruolo  più o meno gratificante di vox clamantis in deserto o peggio di  alibi buono a liberare i governanti da ogni rimorso di coscienza…

 

Deriva iper capitalista e autonomia della Banca Centrale Europea

Ovvio che in questo quadro rientra anche la questione della cosiddetta autonomia/indipendenza della Banca Centrale dalle autorità politiche, un tabù  sapientemente creato dallo stesso iper capitalismo che ha imposto la speculazione come motore del mercato ed il consumismo come ragione esistenziale degli individui e dei popoli tutti interi.

La cosiddetta autonomia della banca centrale  è in realtà la quintessenza del trionfo del “monstrum” speculativo e ne nasconde la dipendenza dai  padroni della speculazione i quali  per il suo tramite controllano tutto, mercati, consumatori, popoli e stati.

Non si tratta di rivendicare il ripristino dell’autonomia monetaria nazionale, quella antecedente  alla moneta europea ed alla banca centrale europea. Quella su cui qualche forza politica raccogliticcia e  incapace di alcuna visione che non sia il tornaconto dei propri adepti ha costruito protesta, consenso e governo. La scelta continentale è irreversibile e quindi lo é anche la cessione dell’autonomia  nazionale in favore di quella  continentale in campo  monetario. La questione riguarda il rapporto tra Banca Centrale  Europea  ed autorità politica europea. Proprio questo deve essere ripensato in termini di un forte collegamento funzionale e strategico che presuppone un’altrettanto forte capacità politica dell’autorità europea. Immaginare che la Banca Centrale possa gestire in autonomia la politica monetaria e finanziaria europea significa sancire la definitiva dipendenza dell’Europa e degli  Stati sembri dalla speculazione finanziaria mondiale senza alcuna possibilità di condizionarla anzi subendone in toto il mefistofelico condizionamento.

La gestione dei tassi di interesse durante la crisi energetica innescata dall’invasione russa in Ucraina ne è  la dimostrazione. L’inflazione in quel frangente non era causata da surriscaldamento della domanda o da insufficiente offerta come insegnano i testi di economia ma dalla speculazione  internazionale che ha approfittato della guerra (o l’ha favorita o scatenata) per brandire l’arma dell’inflazione a proprio vantaggio facendo schizzate in alto i prezzi e facendo  esplodere i tassi in un contesto in cui i salari e gli stipendi, in assenza di meccanismi di riequilibrio, non potevano muoversi subendo di conseguenza una caduta disastrosa del loro potere di acquisto che si è tradotta  in un impoverimento generale che non riguarda più inoccupati e  disoccupati ma anche chi un lavoro ce l’ha, ingenerando in costoro ansia ed angoscia che certo non rasserenano gli individui e nemmeno la collettività.

 

La prospettiva mediterranea

In conclusione, la speculazione in campo finanziario, energetico, militare, alimentare anche,  ha incassato super profitti e rendite di posizione esentasse spaventosi quanto esorbitanti, i cittadini si sono impoveriti, il mercato, quello vero basato sull’incrocio della domanda e offerta di beni e servizi, é andato in tilt con i prezzi saliti alle stelle e salari alle stalle o, se più  vi piace, in caduta libera .

La Speculazione quindi è sempre più padrona del mondo, della finanza, dell’energia, della farmaceutica, dei servizi digitali et cetera, tutti ben rappresentati nelle borse, offerte in ottundente, assurda adorazione agli incolpevoli cittadini, e   sempre più padroni assoluti del Governo  Europeo e delle altre potenze  mondiali oltre che degli Stati nazionali.

Si tratta di un circolo vizioso da cui non se ne esce se non rigettando il paradigma che è alla base di esso.

Non è azzardato trarre una conclusione da tali riflessioni. Essa  riporta ancora e sempre al ruolo del Mediterraneo. Infatti è proprio qui il banco di prova per far saltare il paradigma speculativo  iper capitalista  in uno con quello economico che esclude i Sud, a cominciare proprio da quelli che affacciano sul Mediterraneo, da ogni possibile partecipazione da protagonisti agli equilibri del mondo.

L'autore

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Antonio Corvino

Antonio Corvino, economista e scrittore, ha insegnato all'Università di Bari e in altri atenei meridionali.