Un’ondata di estrema destra. La Francia non sfugge a una tendenza di lungo periodo, che si può constatare nel mondo occidentale, europeo e americano. Le elezioni europee del 9 giugno 2024 e legislative del 30 giugno e del 7 luglio, che sono seguite allo scioglimento deciso dal Presidente della Repubblica, sono la prosecuzione di questa tendenza. È incarnata da un partito, il Front National, creato nel 1972 e presieduto da Jean-Marie Le Pen, divenuto Rassemblement National dal 2018 e presieduto dal 2011 da Marine Le Pen, figlia del fondatore. Due movimenti si sono poi creati per scissione da questo partito: i Patriotes di Florian Philippot nel 2017 e Reconquête di Eric Zemmour nel 2021. L’uno e l’altro sono marginali nella galassia dell’estrema destra. Infatti è proprio l’avvento di questa sensibilità sulla scena politica l’avvenimento principale degli ultimi anni, soprattutto dal 2002, quando Jean-Marie Le Pen arriva al secondo turno dell’elezione presidenziale, eliminando Lionel Jospin Primo Ministro e candidato socialista. I due grandi partiti che hanno strutturato la vita politica francese dall’inizio della Quinta Repubblica, il Parti Socialiste di François Mitterrand nel 2017 e il partito erede del gallismo nel 2022, sono crollati. Al loro posto si è installato un partito centrale, e non centrista, che raccoglie personalità del centro-sinistra  e del centro-destra, anch’esso molto indebolito sette anni dopo l’elezione di Emmanuel Macron nel 2017.

Bisogna risalire al 5 ottobre 1972 per misurare il percorso del Front National creato quel giorno. All’epoca raccoglie molti nostalgici della “Révolution nationale” e del regime di Vichy del Maresciallo Pétain. Essi considerano ingiusto il trattamento subito da quest’ultimo e continuano a aderire ai principi fondamentali del suo regime, riassumibili nel motto “Lavoro, Famiglia, Patria”, che ha rimpiazzato “Libertà, Eguaglianza, Fraternità”. Poi ci sono quelli che rimpiangono l’abbandono dell’impero francese, dall’Indocina all’Algeria, all’Africa orientale e equatoriale. Hanno combattuto per conservare l’Algeria alla Francia fino ad organizzare numerosi attentati, di cui uno ha rischiato di costare la vita al Generale De Gaulle il 22 agosto 1962 al Petit-Clamart. Infine ci sono quelli che rifiutano l’evoluzione della chiesa cattolica a partire dal Concilio Vaticano II, tra il 1962 e il 1965. Alcuni tradizionalisti si scinderanno e saranno scomunicati dal Papa. Molti si ritroveranno nel Front National, in nome della Francia eterna, bianca e cristiana. Portano in seno a questo partito di sentori di xenofobia, razzismo, antisemitismo, a volte apertamente manifestati, a volte celati per non incorrere nel rigore della giustizia.

Il nuovo partito del 1972 non attira l’attenzione dei Francesi, neanche dei politici di professione e dei giornalisti, tanto più che i il risultato di J.M. Le Pen al primo turno delle presidenziali del 1974, dopo la morte di Georges Pompidou, è lillipuziano: 0,65 per cento dei voti espressi. Sette anni dopo, non può nemmeno presentare la candidatura, perché non ottiene le 500 sponsorizzazioni necessarie. A chi può fare paura un movimento del genere? È destinato alla marginalità. Il suo presidente appartiene alla V Repubblica. È stato eletto nel 1956 come deputato dei poujadisti (un movimento populista effimero, sciolto due anni dopo).

Occorrerà attendere l’inizio degli anni 1980 perché il Front National conosca i suoi primi successi. Essi corrispondono all’avvento della sinistra al potere, con la vittoria di François Mitterrand il 10 maggio 1981 e quella di una maggioranza assoluta di deputati socialisti all’Assemblea nel giugno di quello stesso anno. Una parte dell’elettorato di destra si radicalizza e confluisce nel Front National, confermando il giudizio di F. Mitterrand: l’estrema destra è contenuta nella destra e ne esce in certe circostanze della nostra storia. Questo momento corrisponde anche alla scelta strategica effettuata nel marzo 1983 dal presidente socialista: bisogna restare nel sistema monetario europeo? La Francia resterà, perché uscirne significherebbe abbandonare la politica europeista in corso dal 1950. il governo è in difficoltà. Ha già effettuato tre svalutazioni e bloccato i prezzi e i salari nel giugno del 1982, il deficit commerciale si accresce pericolosamente, la Francia può esporsi alla minaccia di un intervento del Fondo Monetario Internazionale. L’ambiente  politico dei nostri partners non è incline alla benevolenza: Margaret Thatcher dirige il Regno unito dal 1979, Ronald Reagan gli Stati uniti dal 1980, Helmut Kohl la Repubblica Federale Tedesca dal 1982. Ma la buona scelta di François Mitterrand in nome dell’interesse nazionale ed europeo porta ai francesi qualche cattiva notizia e qualche rigore da dover subire.

Questa nuova situazione si traduce in risultati elettorali. In occasione di un’elezione municipale parziale a Dreux (dipartimento di Eure-et-Loir), la lista del Front National ottiene al primo turno il 4 settembre 1983 il 16,7 per cento dei suffragi. Si fonderà con la lista dell’RPR per il secondo turno l’11 settembre con l’approvazione calorosa di Jacques Chirac, che cambierà posizione più tardi. Vincerà con il 55,3 per cento. Poi ci sarà un’elezione legislativa parziale nella seconda circoscrizione del Morbihan (dopo l’elezione al Senato del suo titolare): Jean-Marie Le Pen è candidato e ottiene l’11 dicembre 1983 il 12,02 per cento, di cui il 51% nel suo comune natale. Infine il 17 giugno 1984 conduce la lista del suo partito alle elezioni europeee realizza il 10,9%. Si pensa che non andrà più lontano di così. Ma a torto, perché sarà l’inizio del successo e l’estrema destra non cesserà di guadagnare terreno a ogni scrutinio. Solo Nicolas Sarkozy, il 22 aprile 2007, fa arretrare J.M. Le Pen nel primo turno delle presidenziali. Si contenterà del 10, 44%. Fatica sprecata, perché alla fine del suo mandato Marine Le Pen, nuova candidata, otterrà il 22 aprile 2012 il 17,9 per cento. Si fa di tutto per fermare quest’avanzata, ma senza successo. Quarant’anni dopo, il Rassemblement National raccoglie quasi 11 milioni di elettori, e il 7 luglio 2024 conta con i suoi alleati 143 deputati.

Crisi della sovranità. Perché questa inesorabile crescita tra i Francesi? Le spiegazioni sono numerose, e ciascuna ha la sua parte di verità. Non sono cause che spariranno di colpo. Bisogna aspettarsi che gli elettori accordino un’importante attenzione all’estrema destra per un bel pezzo. Forse i francesi vorranno anche affidarle il destino del paese, ma niente è sicuro in politica. Quello che ha minato la società francese è stata la disoccupazione di massa per un mezzo secolo, a partire dalla crisi petrolifera del 1973. È molto diminuita, ma non scomparsa. Ha lasciato delle tracce, e trovare un lavoro non significa trovare il benessere. Degli interi territori hanno visto le loro fabbriche chiuse senza essere rimpiazzate, o offrire degli impieghi che non corrispondono alla competenza e all’esperienza di quelli che perdono il lavoro. Questo senza contare la caduta del valore di un patrimonio immobiliare acquisito con difficoltà. Delle zone intere hanno visto il medico partire, la scuola e l’ufficio postale chiudere, poi la drogheria e la panetteria, o addirittura la gendarmeria. Anche se delle misure di compensazione o delle formule di sostituzione sono messe in opera, si sviluppa un sentimento d’abbandono. Si ha rancore verso la città, più ancora verso la metropoli e l’élite che ci vive e lavora. Allora, nella cabina, con la tendina chiusa, solo con la sua busta e le sue schede, l’elettore manifesta la collera, la frustrazione, il rifiuto, la paura, ma anche la speranza che possa andare meglio con un partito che non si è ancora “provato”, dimenticando che la politica non è una scienza sperimentale e che non si torna indietro. L’estrema destra può così prosperare questa collera a detrimento della corrente riformista e moderata, ma non ha l’attrattiva della novità. È associata a dei regimi che non hanno lasciato il migliore dei ricordi.

Queste spiegazioni contano ma non sono sufficienti per comprendere questo fenomeno de crescita impetuosa dell’estrema destra in Francia. Esiste una sensazione confusa ma reale che la Francia non sia più padrona del proprio destino. È indipendente ma meno sovrana che in passato. Molte delle decisioni che la riguardano sono prese lontano da essa. A Bruxelles et a Strasburgo, a causa dei nostri impegni europei, che aumentano di trattato in trattato. A Francoforte, dove ha sede la Banca Centrale Europea, guardiana dell’eur. moneta comune che protegge, ma che esige qualche limitazione, essendo condivisa con altri 19 paesi. A Berlino, perché certi pensano che la Germania sia la vera padrona  dell’Unione Europea, il che ferisce l’ego nazionale. Infine ci sono certi finanziari, senza nome, senza volto, senza un luogo definito, di cui la Francia ha però bisogno per coprire il suo debito che le permette di funzionare e di pagare le spese mensili. Un dirigente razionale e responsabile pota pure sostenere la necessità di questi organismi e ripetere che la Francia non può isolarsi dal mondo, ma non verrà ascoltato. E certo il paese è ben dentro la mondializzazione, per i suoi acquisti e le sue vendite, per le fonti di energia, il gas, l’uranio e anche un po’ di carbone. Niente da fare: alcuni francesi vogliono sfuggire a ciò che vivono come un giogo. Dall’estrema destra ci si aspetta questo e il suo nazionalismo sembra utile. L’estrema sinistra sa approfittarne per sostenere una rottura rivoluzionaria con il “sisteam”, sapendo benissimo che non ci si arriverà mai.

Identità e immigrazione. Sovranità ridotta da un lato, ma anche identità a pezzi dall’altra. Questa è un’altra chiave d’interpretazione. A ogni successo elettorale del Front National, i suoi sostenitori si ritrovano e gridano il loro slogan: “Siamo a casa nostra”. Infatti questo partito risveglia all’ostilità e l’odio per lo straniero, anche se è in una situazione regolare, e fa dell’immigrazione il suo tema centrale. Ogni persona di colore scuro o nero è sospettata di essere straniera, anche se è delle Antille o della Réunion, dunque storicamente francese da più tempo di un corso o di un savoiardo. I progetti legislativi della destra discriminano questi stranieri in nome della preferenza nazionale, ribattezzata priorità nazionale. È in questo senso che merita la qualifica di xenofoba. È una rottura con quello che fonda la Repubblica Francese dal 1789 e dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, in particolare all’articolo primo: Gli uomini nascono e restano liberi ed eguali in diritti”. Questa Dichiarazione appartiene ormai al complesso delle norme costituzionali della Francia. Tuttavia questa posizione è accettata da milioni di francesi. Essi hanno la sensazione di essere spossessati dei propri diritti. Parlano della “vera Francia”, come se ce ne fosse una falsa. Questa nostalgia e questo rigetto dello straniero alimentano il bottino elettorale dell’estrema destra. Mi viene in mente il discorso di François Mitterrand  del 28 settembre 1993 a Besançon, all’inaugurazione del monumento alla memoria degli stranieri nella Resistenza. Certo avvertiva il montare di questo sentimento nel paese: “Non bisogna dividere la resistenza e screditarla facendo suonare la corda della xenofobia, opporre i Francesi a ‘quegli stranieri là’! Tentazione costante, contro la quale bisogna vigilare”. Ecco, ci siamo!

È dunque il tema dell’immigrazione che è al cuore della politica del Rassemblement National ed ha creato un legame con l’insicurezza. La “grande sostituzione” e la “guerra di civiltà” nutriscono il suo successo, l’alimentano di voti estremi, nella presunzione che loro saranno più protettivi, più intransigenti nell’impedire o frenare chi arriva, più fermi verso quelli che si sono installati illegalmente sul nostro territorio e capaci dunque rimandarli nei loro paesi. Questo a maggior ragione se si tratta di migranti di religione musulmana. Vengono con i loro costumi e modi di vita, frequentano assiduamente le moschee e non le chiese, a differenza dei Belgi, Polacchi, Italiani, Spagnoli, Portoghesi di un tempo, che essendo bianchi e cristiani, s’integrano facilmente nell’arco di una generazione. Si fa appello allora alla laicità, con uno sbalorditivo rovesciamento di senso. La legge del 1905 non è più la garanzia della libertà di coscienza, ma diventa lo strumento di lotta contro una religione che ha un reale dinamismo. Invece bisogna rimanere fedeli alla formula di Jean Jaurès: “La legge protegge la fede, a condizione che la fede non pretenda di fare la legge”. Il cattolicesimo l’ha ben compreso.

Per esplorare il voto dei francesi, bisogna andare a cercare delle ragioni più profonde e più durevoli. I contesti che hanno tenuto insieme la popolazione per generazioni hanno perso vigore o sono crollati. La religione cattolica e l’ideologia sia comunista che socialista hanno cessato di dare la speranza della salvezza la prima e la speranza in un mondo migliore la seconda. Sono pochi quelli che credono nel paradiso celeste o nel paradiso terrestre, al punto che le cremazioni tendono a superare le inumazioni. Sono pochi quelli che sperano in una vita eterna o in una società senza classi. Anche la politica non sembra in grado di cambiare la vita. Allora le parrocchie sono abbandonate, le cellule si svuotano e le sezioni sono ridotte all’osso. L’individualismo può prosperare questo vuoto, mentre le collere e le paure non hanno più sbocchi politici guidati dalla ragione. Diviene facile per l’estrema destra, ma anche per l’estrema sinistra, sfruttare questa situazione, anche se la prima è più efficace della seconda.

Il ruolo dell’esercito. A questo bisogna aggiungere la sensazione di una Francia in declino, dei Francesi minacci di declassamento sociale da una società che vede approfondirsi le ineguaglianze di reddito et di patrimonio, dunque soggetta a frustrazioni e sensibile alle ingiustizie. La Francia in effetti, come l’occidente, non è più il centro del mondo. Ha perduto molte guerre: dopo quelle di Napoleone I nel 1815 e di Napoleone III nel 1870, quella del 1940 il cui ricordo perseguita sempre lo spirito francese. Certo quella del 1914 è stata vinta, ma al prezzo di enormi distruzioni e d’una crisi demografica dalla quale ha impiegato anni a riprendersi. Ha perduto il suo impero , e quello che resta è fragile. I recenti movimenti in Nuova Caledonia lo ricordano. Infine, la presenza della Francia non è più gradita in diversi paesi dell’Africa.

Tutta quest’attualità e tutta questa storia formano la base della situazione politica. Non la si comprende se non affidandosi ai tempi lunghi. Non è la prima volta che la Francia attraversa delle rudi scosse dopo i due secoli e mezzo che la separano dalla grande Rivoluzione. In questi momenti alcuni vanno a cercare i cosiddetti uomini della Provvidenza, e un’istituzione che assicuri loro stabilità, unità, coesione. Spesso fu l’esercito a giocare questo ruolo. Anche se la questione non si pone oggi, è interessante riconsiderare questa storia. Anche sotto forma di riassunto, è utile per meglio comprendere il popolo francese. Perché se è un popolo ribelle, che ama appassionatamente la libertà, è anche un popolo che ama l’ordine e l’autorità. Chi meglio dell’esercito li può incarnare?

Così, dopo dieci anni di rivoluzioni, violenze, disorganizzazione del paese, la Francia si getta nelle braccia di un ufficiale: Napoleone Bonaparte. La Rivoluzione del 1789, cara al cuore dei francesi per le sue conquiste, ha in fondo partorito un militare. Suo nipote prenderà il suo posto dopo le giornate sanguinose del giugno 1848 e i Francesi eleggeranno in massa il 10 dicembre di quell’anno un capitano d’artiglieria, che dirigerà la Francia per 20 anni. Dopo la terribile “settimana sanguinosa” della comune di Parigi nel 1871 e dopo l’uscita di scena di Adolphe Thiers, è il maresciallo Patrice Mac-Mahon che diviene Presidente della Repubblica nel 1873. È lui che organizzerà la repressione della Comune. È dunque l’uomo d’ordine. Altri ufficiali avrebbero potuto dirigere la Francia e hanno conosciuto dei successi spettacolari. È il caso del generale Georges Boulanger nel 1886-1889: incoraggiato a marciare sull’Eliseo, rifiutò di farlo. È il caso del colonnello François de la Rocque negli anni 1930, incoraggiato a invadere il Palais-Bourbon il 6 febbraio 1934. Si rifiuterà, preferendo attendere le elezioni legislative del 1940… che non avranno mai luogo. Quell’anno la Germania invase la Francia, un armistizio venne firmato da un maresciallo, Philippe Pétain, molto apprezzato dai francesi, che non sapevano ancora che avrebbe collaborato con l’occupante, né che avrebbe sotterrato la repubblica. L’onore sarà salvo grazie a un generale di brigata a due stelle, Charles De Gaulle, che resisterà da Londra e governerà la Francia dal 1944 al 1946, il tempo di rimetterla in piedi. Lo si ritroverà nel nel 1958 per fare uscire la Francia dalla guerra d’Algeria. Incontrerà opposizioni e un tentativo di colo di stato sarà tentato nell’aprile del 1961. Per rassicurare i francesi e sventare questo progetto, si presentò alla televisione in uniforme, il simbolo migliore dell’ordine. Più tardi, lo stesso de Gaulle di fronte al blocco del paese nel maggio 1968 e al disordine generalizzato, andrà a Baden-Baden in Germania a incontrare un altro generale, Jacques Massu, comandante in capo delle forze francesi d’occupazione. Voleva assicurarsi il suo sostegno in caso di necessità. Anche nel 2022, un ex capo di Stato Maggiore, Pierre de Villiers, ebbe successo, fino ad ottenere il 20% in un sondaggio per le presidenziali del novembre 2022. Non si conosce una situazione e una storia simile nelle altre due grandi democrazie, Stati Uniti e Regno Unito: che i militari continuino a scrivere la storia!

E se…? A questo sommario, se ne può aggiungere un altro, che ha a che fare con l’ucronia, un modo di elaborare racconti di fantasia partendo da una premessa storica. Secondo me, un punto di partenza potrebbe essere la fuga del re Luigi XVI, della regina Maria Antonietta e della loro famiglia il 20 e 21 giugno 1791. Volevano raggiungere la piazzaforte realista di Montmédy e lanciare una controrivoluzione con le truppe del marchese di Bouillé. Ma furono smascherati a Varennes e rientrarono penosamente a Parigi. Fu l’origine di una scissione nei clubs. Quello dei Foglianti, malgrado questa fuga, non voleva rovesciare il re. Quello dei Giacobini, a causa di questa fuga, voleva rovesciare la monarchia e instaurare la Repubblica. Prevalsero questi ultimi. Per decreto del 21 settembre 1792, l’Assemblea Nazionale abolì la monarchia e con un altro decreto del 22 settembre instaurò la Repubblica.  Quattro mesi dopo, il 21 gennaio 19793, il re fu ghigliottinato e la regina lo sarà il 16 ottobre seguente. Bisognò attendere il generale De Gaulle per operare una forma di sintesi delle due legittimità, quella del Presidente e quella dell’Assemblea Nazionale, tutte e due basate sul suffragio universale.È una sorta di monarchia repubblicana.

Ma la Francia avrebbe potuto essere una monarchia costituzionale simile a quella dei nostri vicini inglesi… se Luigi XVI fosse rimasto a casa sua, se non fosse stato riconosciuto, se la sua fuga fosse riuscita, se il club dei Foglianti avesse prevalso sui Giacobini, se i monarchi non fossero stati ghigliottinati, se…, se… La storia non è una lista di fatalità e di determinismi, ma di possibilità e anche di casi. Si comprende meglio così l’infatuazione di molti nostri compatrioti per la famiglia reale d’Inghilterra e la famiglia principesca di Monaco. Non si ghigliottina più, ma ce la si prende con tutti i Presidenti, talvolta fino a odiarli.

La sequenza elettorale dei mesi di giugno e luglio è una tappa di questa lunga storia. Le elezioni europee e legislative hanno visto la disfatta della maggioranza presidenziale di Emmanuel Macron, ma se c’è un perdente non c’è però un vincitore. L’Assemblea Nazionale è spezzettata in tre blocchi e nessuno può accordarsi con un altro per fare una maggioranza solida. Ci sono ormai undici gruppi parlamentari, un record, con una destra debole dominata dalla sua estrema e una sinistra anch’essa indebolita, dominata dalla sua estrema. Nessun partito, nessuna coalizione sola è in grado di governare la Francia in maniera stabile, almeno per un anno, perché quest’Assemblea non può essere sciolta prima del luglio 2025. La Francia è sul punto di ritrovare le pratiche che ha conosciuto sotto la III e la IV Repubblica. Per sessant’anni il Presidente o disponeva della propria maggioranza, e questo gli assicurava una coerenza, o governava con una maggioranza contraria, e c’era una coabitazione. Ma ogni volta il paese aveva il suo governo. Oggi lo si cerca. La maggioranza relativa del 2022 e quella impossibile del 2024 bloccano la macchina istituzionale. La Francia entra senza dubbio in un altro ciclo, quello delle coalizioni come dai nostri vicini. Questo implica che una parte della sinistra faccia un compromesso con una parte della destra o viceversa. Al momento è uno sforzo apparentemente smisurato, e la maggior parte dei partiti sono reticenti. Perché si va sbattere contro l’essenziale, la chiave di volta della nostra Costituzione e del nostro sistema elettorale: il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale per due mandati al massimo e chi lotta per rimpiazzare chi occupa il Palazzo dell’Eliseo si concentra solo su quella elezione. Ora i Francesi non sono pronti a rinunciare a quella elezione decisa per referendum nel 1962, e ci vorrebbe una altro referendum per cambiare. Rivedere la Costituzione è una missione impossibile. Come fa un candidato a presentarsi dicendo agli elettori: è l’ultima volta che voterete per scegliere il Presidente? Non ci sarebbe nessuna possibilità di vincere. Teoricamente è più facile cambiare il sistema elettorale instaurando il metodo proporzionale, per la gita dei piccoli partiti, che adorano giocare a fare l’ago della bilancia. Bravo chi, al momento attuale, è in grado di indovinare come si esce da questo vicolo cieco per gli uni, che è un’opportunità per gli altri, da questo caos, come dice gran parte dei Francesi.

Ma rassicuriamoci: quando la società politica è confusa, o disarticolata, lo Stato è là, a costituire l’infrastruttura del paese. Funziona, è imperfetto, ma solido, sempre criticato ma sempre atteso. Filippo Augusto, Luigi XIV, Napoleone, De Gaulle lo hanno installato su basi solide. Hanno lavorato bene, e la Francia ne ha viste tante!

In copertina: © Fabrizio Uliana 2024

L'autore

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Bernard Poignant

Bernard Poignant, uomo politico francese, è stato Sindaco di Quimper, deputato per il PS, eurodeputato e consigliere del Presidente Hollande. Nel 2017 si è sospeso dal PS e ha lasciato l'Eliseo per sostenere la candidatura di Macron.