1. Attualmente l’ordinamento giudiziario comprende sia i magistrati che fungono da giudici, sia i magistrati che si occupano di sostenere l’accusa. Questa è una tradizione italiana (e non solo italiana) che deriva dall’esigenza che la “pubblica accusa”- il PM – non sia guidata da un organo politico, ma abbia le stesse garanzie di autonomia e indipendenza dei giudici “giudicanti” e l’obbligo di esercitare la pubblica accusa senza che la politica possa dire quando e come.
Questo non piace agli avvocati. Disturba il fatto di essere parte di un processo (la difesa dell’imputato) e vedersi di fronte non un altro avvocato, ma un appartenente alla stessa organizzazione di cui fa parte il giudice. Da qui la richiesta, avanzata con insistenza da molti anni, di separare le due carriere.
2. È dunque una richiesta comprensibile, ma non per questo è anche condivisibile. Essa è oggetto delle proposte elaborate – e molto ascoltate dal Governo – dalle “Camere penali”, che sono organizzazioni sindacali minoritarie degli avvocati penalisti (dichiarano di associare più di 10.000 avvocati, su più di 230.000 avvocati operanti in Italia). Non sono certo i grandi “principi del foro”, i più famosi e stimati avvocati penalisti a provare un fastidioso senso di inferiorità nei confronti del PM. Il fatto è che il PM condivide lo stesso percorso di carriera del giudice: sono cioè entrambi vincitori di un concorso nazionale molto duro e selettivo, mentre gli avvocati diventano tali solo dopo aver superato un esame di stato gestito localmente dagli stessi avvocati. Il ministro Bassanini aveva introdotto un percorso unitario di formazione per magistrati, avvocati e notai (secondo un modello che in Germania funziona molto bene), ma i “liberi professionisti” hanno boicottato l’innovazione e si sono rimpossessati di formazione e selezione dei propri adepti.
Quello che oggi si vorrebbe è introdurre un principio di separazione delle carriere dei magistrati che si rifletterà poi anche su un diverso percorso di selezione e formazione tra chi quelle carriere intraprende.
Si noti che le carriere sono già separate. Il giovane magistrato, vinto il concorso e svolto un lungo tirocinio (18 mesi, di norma) che si conclude con un giudizio di idoneità, sceglie la sede (tra quelle disponibili) e la funzione che svolgerà, se quella “inquirente” o quella “giudicante”. Il cambiamento di funzione è ammesso una sola volta nell’arco dell’intera carriera (la statistica ci dice che le richieste di cambiamento riguardano poco più dell’1% dei magistrati!), e comunque comporta il cambiamento di sede. Nessun obbligo formativo ne vincolo di sede o di specializzazione grava invece sui giovani avvocati.
3. C’è poi da notare che il PM non svolge una funziona fondamentale soltanto nel processo penale. Interviene anche in sede civile quando sia necessario difendere un interesse pubblico o gli interessi di un incapace che va tutelato anche nei confronti degli interessi strettamente personali delle parti. Ma soprattutto il nostro sistema di difesa dei diritti costituzionali affida al PM le garanzie che circondano i poteri della polizia. Arresti, perquisizioni, e altri provvedimenti di polizia che potremmo subire devono essere autorizzati dal PM che, come dice l’art. 109 Cost., «dispone direttamente della polizia giudiziaria». Ci sentiremmo più garantiti se il controllo sulle attività della polizia fosse affidato a un avvocato o a un funzionario pubblico diverso dal magistrato?
4. Il principio di separazione delle carriere è contenuto in un progetto di riforma costituzionale che per il momento è stato approvato in prima lettura dalle due Camere: essendo una legge costituzionale, deve essere approvato anche in seconda lettura dalle Camere. Siccome è molto improbabile che ottenga i due terzi dei voti favorevoli, come previsto dall’art. 138 Cost., ci sarà un referendum che le opposizioni (e forse gli stessi cittadini) non mancheranno di proporre.
La nuova legge costituzionale prevede che siano organizzate «distinte carriere dei magistrati giudicanti e requirenti», rinviando alle leggi successive la loro concreta disciplina. Il passo fondamentale che compie è dividere l’organo di governo della magistratura (il CSM) in due organi, uno per la magistratura giudicante uno per quella requirente. Nella composizione di questi due organi sta nascosto il detonatore: in essi la rappresentanza dei magistrati verrà scelta per estrazione a sorte, non per elezione, come è avvenuto sinora. È proprio questo l’obiettivo della riforma, eliminare la rappresentanza elettiva dei magistrati che ha sempre significato elezioni competitive tra liste elettorali e quindi tra schieramenti politicamente orientati. Il “correntismo” era l’obiettivo contro cui la riforma è stata costruita. Ma è la prima volta che la rappresentanza in organi di carattere costituzionale viene affidata alla sorte anziché al meccanismo tipico degli organismi rappresentativi, cioè il voto. Difficilmente questo metodo potrà aumentare il prestigio di questi organismi rappresentativi, già indeboliti dalla divisione in due diversi organi. Che sia proprio l’indebolimento della magistratura nel suo complesso l’obiettivo che ispira la riforma non è certo un banale sospetto. Ne dobbiamo essere contenti noi, che non siamo avvocati penalisti (né politici indagati)?
In copertina: Piero Barducci, “Ordine!” (2025)