Nel secolo scorso nessun altro si è identificato con la Costituzione della nostra Repubblica quanto Giuseppe Dossetti. Da membro di primo piano dell’Assemblea costituente, della prima Sottocommissione, della Commissione dei 75 e del Comitato di Redazione dei 18, ne fu ispiratore e redattore. A lui, soprattutto a lui, si deve l’impronta personalistica della nostra Carta, per la quale la libertà e i diritti sociali dell’uomo ‘sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità’ sono inviolabili in quanto pre-esistenti allo Stato, che si limita a riconoscerli e che pertanto è tenuto a tutelarli e a preservarli. D’altra parte i ‘doveri inderogabili’ non sono mera sottomissione dei cittadini alle leggi dello Stato, ma libero riconoscimento da parte dei singoli e dei corpi intermedi – famiglia, comunità locali, partiti, sindacati, associazioni… – della intrinseca socialità della persona.
Estate ’46, Prima Sottocommissione della Costituente, Dossetti aveva appena terminato il suo intervento su tale assunto che Palmiro Togliatti immediatamente ne convenne, dichiarandosi in quella stessa sede concorde nel riconoscimento del più ampio e libero sviluppo della persona umana quale fine supremo del sistema democratico.
Da questa convergenza derivò tutto l’impianto della Carta.
Giuseppe Dossetti, si sa, nel ’51 si sarebbe dimesso da parlamentare e ritirato dal ‘secolo’. Fondò la Piccola Famiglia dell’Annunziata e si diede alla vita monastica. Tornò all’impegno politico saltuariamente e senza troppa convinzione, su pressione della gerarchia ecclesiastica, del cardinale Lercaro in ispecie.
Quando poi, a fine secolo, col collasso della ‘prima repubblica’ – espressione da lui contestata che qui usiamo solo per comodità, essendo essa entrata a pieno titolo nel gergo giornalistico e politico – e con l’avvento del primo governo Berlusconi si fece più concreto il rischio di uno stravolgimento della Costituzione, il monaco ritiratosi dal mondo sentì il dovere e l’urgenza di tornare a combattere.
Monteveglio, 1994: “Mi ha molto incoraggiato l’esempio di San Saba, l’Archimandrita degli anacoreti del deserto di Giuda, che non solo trovò necessario ed opportuno sottoscrivere a suppliche rivolte per il bene pubblico all’imperatore Anastasio, ma che per ben due volte lasciò le profondità del deserto palestinese in cui viveva, per andare alla Corte di Bisanzio a parlare con l’Imperatore […] Orbene, mi pare che la situazione generale del nostro Paese renda necessario ed opportuno anche per me, naturalmente proporzione fatta, ispirarmi a simili grandi esempi”.
La situazione generale del nostro Paese vedeva la maggioranza guidata da Silvio Berlusconi determinata a riformare la Costituzione in senso presidenzialista e federalista. E il monaco sentì l’urgenza di uscire da Gerico, in Palestina – dove si era trasferito – per tentare di sventare il disegno eversivo in atto. Ci si sarebbe aspettata perciò una sua posizione ‘conservatrice’, di difesa della Carta tal quale e di indifferenza all’evoluzione storica. Tutt’altro.
Dossetti si disse consapevole della necessità di mettere mano a una riforma del testo costituzionale, rimarcandone tuttavia i principi non negoziabili del patto fondativo, la linea rossa invalicabile: “Non si vuole disconoscere i mutamenti oggettivi di grande spessore intervenuti dal 1945-47 ad oggi nella società nazionale; nei suoi dinamismi economici; nelle potenzialità, positive e negative, del suo sviluppo; nei suoi impulsi e desideri, individuali e collettivi; nella stessa coscienza e gerarchia dei valori, da parte di donne e di uomini, di individui maturi e di giovani o adolescenti, e infine di forme associazionistiche. Mutamenti che sono tanto più rilevanti, quanto più vengano considerati in un quadro internazionale che, a sua volta, ha subíto modificazioni radicali...”. A tali mutamenti, sostiene il Nostro, è opportuno rispondere “con una revisione pacata e graduale, se pure non timida e non esitante”.
Erano allora forti le spinte secessioniste della prima Lega, quella di Miglio e di Bossi. Con esse bisognava confrontarsi. Sarebbe stato coerente col patto fondativo della Repubblica un federalismo spinto ai confini col secessionismo?
1988, con sentenza n. 1.146, la Corte Costituzionale aveva fissato i paletti, o se si vuole la linea rossa per ogni tentativo riformatore della Carta, i suoi principi non negoziabili, che “non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale, neanche da leggi di revisione costituzionale” quali “la forma repubblicana (art. 139 Cost.) e i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana”.
E Dossetti, nel ‘94, a Monteveglio prima e al Mercadante di Napoli poi, riprende il concetto dei principi non negoziabili. Tali principi sono, a suo avviso, l’unità e indivisibilità del popolo italiano (artt. 1 e 5), il personalismo (art. 3), i rapporti Stato e confessioni religiose (artt. 7 e 8), il ripudio della guerra (art. 11), la valenza costituzionale dei corpi intermedi territoriali e non territoriali, la divisione dei poteri. Entro i confini così tracciati don Giuseppe apriva all’eventuale adesione ad un ‘ragionevole federalismo’: “In sostanza, mi pare che un’opinione, ora abbastanza diffusa e ragionevole, si muova verso un federalismo moderato, sul modello del Grundgesetz tedesco” sostenne al Mercadante.
Una prospettiva agli antipodi dell’orientamento della Lega, che puntava a “un federalismo tendenzialmente secessionista, e comunque sempre mirato sull’interesse, grettamente concepito, della Padania, a scapito di tutto il Centro-sud”. Se la Lega avesse raggiunto il suo obiettivo l’Italia si sarebbe: “ridotta praticamente al solo Nord non avrebbe più nemmeno un decimo della sua attuale importanza politica, che è certo – nonostante tutte le gracilità imputate al meridione – una importanza che risulta a un tempo dal fattore continentale e dal fattore mediterraneo: tale congiunzione, che deve diventare sempre più una coniugazione armonica e valida dei due fattori, è il proprio costitutivo imprescindibile dell’Italia e la ragione di tutta la sua rilevanza oggettiva, socio-economica, politica e culturale-spirituale”.
Ma non era solo l’indebolimento dell’Italia in quanto stato nazionale, tanto più deleterio nel contesto delle tensioni internazionali del tempo, guerra nei Balcani su tutte, a preoccuparlo. Il secessionismo padano avrebbe sovvertito il principio invalicabile dell’eguaglianza dei cittadini quanto a servizi erogati dallo Stato. Facendo riferimento alla convinzione diffusa per la quale davvero irriformabili fossero solo i primi dodici articoli della Costituzione, Dossetti evidenziò come il federalismo leghista, pur riformando formalmente solo articoli della seconda parte della Costituzione, segnatamente del Titolo V, ne intaccava in realtà la prima parte: “Ma anche sulla distinzione tra le due parti della Costituzione ci sarebbero molte cose da dire. Anzitutto, come già più volte ha insistito Stefano Rodotà, ci possono essere modificazioni della seconda parte capaci di portare, anche al di là di ogni intenzione espressa, a riduzioni dei diritti inviolabili dei cittadini garantiti nella prima parte. Sono stati fatti parecchi esempi, come le differenze di fatto che si introdurrebbero nel diritto alla salute o all’istruzione, nei casi, facilmente ipotizzabili, di applicazioni incaute di un regionalismo forte”.
Riduzioni per una parte degli Italiani, segnatamente per quelli del Sud, dei diritti alla salute e all’istruzione, all’equità fiscale, al lavoro e alle protezioni sociali, a scapito della ‘pari dignità sociale’ di cui all’art. 3 della Costituzione.
Oggi, a distanza di trent’anni esatti da Monteveglio e Napoli, con la Legge 86 del 26 giugno 2024 sull’autonomia differenziata, siamo arrivati a quel punto. Il patto fondativo della Repubblica Italiana è messo in discussione. E Dossetti ci richiama ancora una volta alla vigilanza e alla lotta.